| Presentiamo per la nostra Pagina del Venerdì un articolo del compianto Sheykh ‘Abdu r-Razzâq Yahyâ (Charles-André Gilis) uscito come ‘bollettino’ sul sito della casa editrice Le Turban noir nel Marzo del 2015. Partendo da alcune considerazioni di ordine tradizionale relative all’ondata mediatica seguente all’attentato effettuato nel Gennaio 2015 contro la sede della rivista Charlie Hebdo, l’autore presenta in maniera succinta delle argomentazioni di grande rilevanza, che vanno tra l’altro ad integrare quelle che troviamo nei suoi testi intitolati La profanazione d’Israele (da noi recentemente pubblicato), e Il Papato contro l’Islam (la cui traduzione apparirà per la nostra casa editrice se Dio vuole tra qualche mese), che precedono temporalmente il presente articolo. Il lettore dovrà naturalmente tener conto che esso prende spunto da determinati fatti della storia recente, visti in particolare come erano percepiti in Francia; lasciamo a lui trarre delle conclusioni sulla relazione tra il ‘clima mentale’ che si era creato, o meglio che era stato creato, allora (in Francia come in tutto l’Occidente) e quello che predomina oggi. A noi compete rilevare come Gilis colga, al di là dei riferimenti (apparentemente) contingenti, alcuni elementi fondamentali che permettono di comprendere con esattezza, da un punto di vista, lo ripetiamo, strettamente tradizionale, il significato delle attuali tendenze anti-crisitiche, a cominciare dall’attacco alla Tradizione in generale e all’Islam più in particolare (che continua in quest’ultimo caso quasi sempre senza neppure più il bisogno dell’innesco rappresentato dal ‘terrorismo’), attacco che è rivolto in realtà contro l’Autorità suprema che regge il nostro stato di esistenza. Notevoli le osservazioni di Gilis sul sionismo, ora che si sta manifestando “esposto agli sguardi di tutti” l’orrore implicito nella natura stessa dello stato sionista. Questo non è affatto uno stato nazionalista e colonialista che utilizza la religione ai suoi fini, come sembra ritenere oggi la gran parte dei sui oppositori (anche Musulmani!), ma, dice Gilis, “uno Stato apparentemente laico utilizzato dalla contro-iniziazione per portare a compimento i suoi fini: una contraffazione della teocrazia giudaica, ed una restaurazione sacrilega della sovranità spirituale e temporale del popolo ebraico.” E già incombe, nell’avanzare sempre più realistico del progetto della distruzione di Al-Aqsâ e della ricostruzione del Tempio della contraffazione giudaica, il compiersi dell’“abominio della desolazione innalzato in un luogo santo,” di cui si parla nel Vangelo. Gilis accenna comunque anche ad altro, al vero e proprio collasso della natura tradizionale della Chiesa cattolica ad esempio (ciò che lascia “l’Occidente a se stesso, esposto a tutti i pericoli”), ora governata da uno statunitense, e soprattutto al fatto che il valore per così dire ‘esemplificativo’ e centrale sotto molti punti di vista della questione sionista non deve far dimenticare che esistono pericoli anche più insidiosi, ciò su cui prendendo spunto da Gilis ci si potrebbe dilungare, andando a scoprire il carattere inquietante e assai sospetto di diverse tendenze sempre più accelerate (pensiamo all’affermarsi senza ostacoli della digitalizzazione assoluta e della sedicente ‘intelligenza’ artificiale, o di tutto quello che si lega alla teoria ‘gender’), e di ideologie, o diciamo ‘correnti di mentalità’ solo apparentemente differenti (come il conservatorismo pseudo-tradizionalista, o ancora il femminismo, il pacifismo o l’ecologismo), che quanto meno nelle loro ‘volgarizzazioni’ sono vere macchine da guerra contro l’Islam in particolare nel primo caso citato, e contro quanto rimane dei modi di vita tradizionali negli altri, e che senza dare vera e profonda soluzione, sulla base delle dottrine tradizionali, ai problemi che vorrebbero risolvere, costituiscono secondo Verità dei veli sempre più spessi posti ad impedire alla percezione delle cose per come veramente sono.
Allahumma ari-nâ l-haqqa haqqan wa rzuq-nâ ittibâ‘a-hu wa ari-nâ l-bâtila bâtilan wa rzuq-nâ ijtinâba-hu Allahumma mostraci la Verità come Verità, e concedici in Provvidenza di seguirla, e mostraci il falso come falso, concedici in Provvidenza di separarci da esso! 
L’ombra dell'anticristo 
– Bollettino N° 24 2 marzo 2015
Gli eventi accaduti a Parigi all’inizio del 2015 hanno innescato una valanga di sciocchezze e di contro-verità a riguardo dei temi che interessano i nostri lettori. Sembra sia stato compiuto un ulteriore passo, perché l’ignoranza del punto di vista tradizionale si è espressa con una rara insolenza. Ci son state ripetute delle domande mal poste (si ha il diritto di criticare le religioni?) e delle affermazioni inutili (il reato di blasfemia non è previsto dal diritto penale francese). A proposito dell’Islam, che deliri! Alcuni sono addirittura arrivati ad affermare seriamente “l’urgenza di procedere a una traduzione ecumenica del Corano per renderlo conforme alla laicità e alle libertà”! Questa incoscienza generalizzata suscita imbarazzo e inquietudine. È difficile non vedere in certi episodi proiettarsi l’ombra dell’Anticristo. Così questo slogan ambiguo,[1] ripreso in coro su scala planetaria, dava l’impressione di una sinistra prova generale annunciatrice del peggio. O ancora, questo spettacolo a dir poco indecente che ha avuto luogo la sera dell’11 gennaio, quando le massime autorità dello Stato, kippah sulla testa, si sono ritrovate alla Grande Sinagoga, dove in bella vista figurava… la bandiera dello Stato sionista![2] E che dire della provocazione deliberata costituita dalla pubblicazione di un nuovo numero del settimanale incriminato: essa ha suscitato l’indignazione generale (compresa quella del papa, rimasto fino ad allora singolarmente silenzioso), e talvolta anche una comprensibile collera popolare.
Qui non si tratta da parte nostra d’intervenire su questioni politiche, ma di richiamare alcuni principi alla luce dell’insegnamento di René Guénon. Curiosamente, il suo nome è stato menzionato all’inizio della stessa settimana in occasione dell’uscita di Soumission, l’ultimo romanzo di Michel Houellebecq. Questa pubblicazione, nuova macchina da guerra diretta contro l’Islam, è stato l’‘alzarsi del sipario’ del sinistro spettacolo che è seguito. Il riferimento a René Guénon è significativo sotto diversi punti di vista. Innanzitutto, Parigi è apparsa ancora una volta come la capitale intellettuale del mondo; ora, è precisamente per questa ragione che fin dall’inizio e per tutta la durata della sua carriera di scrittore, gli scritti di René Guénon sono stati pubblicati in questa città. Come non notare inoltre l’ignoranza generalizzata della sua opera in un momento in cui essa è l’unica capace di offrire le indicazioni e i punti di riferimento idonei a spiegare la portata degli eventi che si stanno verificando? Questa cospirazione del silenzio la dice lunga sulla malafede di quella che possiamo ben definire la cricca intellettuale francese, così arrogante e sicura di sé. Anche da un punto di vista ‘culturale’ René Guénon rimane, lo si voglia o no, uno dei più grandi intellettuali del XX° secolo, pubblicato in particolare da Gallimard. Non si tratta di un autore marginale, e tuttavia si deve constatare che tutti si agitano e blaterano come se non esistesse. Se avesse continuato nella direzione apparentemente indicata dalle sue prime opere, forse non avrebbe conosciuto questa disgrazia; ma ecco, si sa che è morto musulmano, e ciò non è accettabile per gli Occidentali. Se essi non capiscono niente dell’Islam, è perché non cercano di capirlo, per paura di dover rimettere in discussione i dogmi fondanti del mondo moderno e della politica che esso persegue. Si tratta davvero di un complotto, ma questo non si riduce a qualche intrigo di basso livello. Si tratta piuttosto di un inganno insidioso che dipende da ciò che René Guénon chiama contro-iniziazione, ossia da un’azione anticristica che manipola gli individui a loro insaputa e si scaglia con crescente sicumera contro i principi tradizionali più elementari. In questo caso ciò che è in gioco non è l’offesa rivolta ai rappresentanti di questa o quella religione, né la blasfemia nel senso teologico del termine, bensì l’aggressione perpetrata, più o meno volontariamente, all’ordine tradizionale in quanto tale, perché questo è il vero bersaglio degli attacchi condotti da più parti all’inizio dell'anno; ma siccome questo può sembrare a molti strano o immaginario, daremo qui alcune spiegazioni ricavate dagli insegnamenti dell’esoterismo islamico.
Il Corano non è solo il Libro sacro dell’Islam; si tratta prima di tutto del Libro universale che sigilla il ciclo delle rivelazioni fatte all’uomo. Esso è destinato ai muttaqîn (e cioè a coloro che si preoccupano di preservare la Verità divina), definiti non come «quelli che credono in Allah e nel Suo inviato», ma bensì come coloro che «credono nel mistero (al-ghayb)» così come nell’insieme delle rivelazioni tradizionali. In altre parole, coloro che riconoscono l’autorità suprema che governa invisibilmente il nostro stato d’esistenza, e che René Guénon ha descritto ne Il Re del Mondo. Ed è qui che sta la vera posta in gioco. In questa prospettiva, il Profeta Muhammad non appare unicamente come il fondatore della religione islamica, ma soprattutto come il rappresentante per eccellenza di tale autorità, alla quale peraltro si identifica. Per far meglio comprendere agli Occidentali ciò che vogliamo dire, aggiungeremo che la stessa funzione è rappresentata nel Cristianesimo non dal Cristo stesso, ma dalla Vergine Maria, ‘mediatrice di tutte le grazie’ e ‘regina degli apostoli e dei profeti’, il che spiega in particolare il suo ruolo nell’opera di Dante. Combattere questa autorità comporta una sanzione che appartiene al diritto imprescrittibile di Dio (al-haqq), e non a una qualsiasi legge esteriore, anche se di ordine religioso. Questo diritto è attinente alla costituzione primordiale dell’uomo, così come è espressa nel versetto che recita: «Ho creato gli uomini e i jinn unicamente affinché Mi adorassero» (Corano LI, 56). Ogni violazione arrecata a questo diritto, in particolare attraverso la negazione, la derisione e la blasfemia, è di una gravità estrema, perché attacca il fondamento del nostro stato di esistenza e ne compromette la legittimità. Nel Corano, un versetto dice a proposito dell’Ora (e cioè della fine del nostro mondo): «Coloro che non vi credono affrettan la sua venuta. Quelli che credono ne hanno paura e sanno che essa è (la manifestazione) di al-haqq. Quanti dubitano dell’Ora non son forse in un'estrema deviazione?» (Corano XLII, 18). I blasfemi sono degli incoscienti che giocano col fuoco rischiando di provocare un incendio. La severità della sanzione è commisurata al pericolo. Il fatto che il mondo moderno ignori l’ordine tradizionale e le sue norme non significa che esse non esistano; allo stesso modo l’ignoranza di un pericolo non ne fa scomparire la minaccia. Tale è la giustificazione di una sanzione il cui senso sfugge alla mentalità contemporanea, e tale è la ragione per cui è opportuno parlare qui di un’azione anticristica.
Un altro aspetto di questa azione si manifesta nella sovversione sionista, che è dello stesso ordine e che può essere compresa solo alla luce degli stessi principi. La questione sionista non è stata affrontata direttamente negli scritti di René Guénon, ma è stato lui ad enunciare i principi che la condannano. Il sionismo è antitradizionale per sua essenza. Senza l’ignoranza e l’indifferenza dei nostri contemporanei in questo ambito, non avrebbe potuto esser concepito né si sarebbe potuto radicare. Se oggi ha potuto impossessarsi anche degli spiriti migliori, compresi quelli che si presentano come religiosi, è perché l’adesione ad un insegnamento dogmatico non è sufficiente a preservare dall’errore quando ad essere in causa è il diritto divino (al-haqq). Questo diritto è stato stabilito e confermato dai diversi profeti succedutisi durante tutto il ciclo umano. Ognuno di loro ha rivelato la legge che conveniva al suo tempo e al suo popolo. Mosè aveva comunicato quella che si adattava al popolo ebraico. Tuttavia, i cambiamenti ciclici avevano portato il governo provvidenziale del mondo a inviare un altro profeta, Gesù. Le ragioni di questo adattamento del giudaismo sono ben note: si trattava di alleggerire un formalismo eccessivo, e di favorire un’apertura che permettesse al monoteismo di acquisire una dimensione universale. Il Corano precisa che Gesù aveva la missione di confermare la legge mosaica rendendo lecito «parte di ciò che era stato vietato agli ebrei» (Corano III, 50). Questi si opposero alla volontà divina e rifiutarono di riconoscere la missione del nuovo inviato. Tale rifiuto fu sanzionato con la distruzione del Tempio di Gerusalemme, la dispersione del popolo ebraico e l’interdizione ad esso rivolta da allora in poi di esercitare il potere temporale. Gli ebrei furono autorizzati a continuare la pratica della loro religione all’esplicita condizione di rinunciare a qualsiasi potenza esteriore, ciò che li condusse nei ghetti. Un versetto coranico afferma: «Se Allah non avesse prescritto loro l’esodo, sarebbero stati puniti in questo mondo» (Corano LIX, 3). Il sionismo può essere definito come una volontà unilaterale di porre fine a tale interdizione, ed è in questo che esso è sovversivo; il Muro del Pianto è comunque sempre lì a ricordarne la permanenza e l’attualità. L’Islam, che definisce il regime finale dell’umanità nel suo insieme, è direttamente interessato da questa trasgressione. Il sionismo misconosce il diritto universale che la tradizione islamica rappresenta: esso è anti-islamico per natura. L’Islam ‘storico’ ha confermato la sanzione adottata nei confronti del giudaismo, ma nelle circostanze attuali è forse utile ricordare che non ne è stato l’autore.
La creazione dello Stato sionista è una vittoria per il mondo moderno, e una tappa fondamentale nello sviluppo dei suoi disegni sovversivi; ma sarebbe un errore considerarlo come la fonte di tutti i mali. In un certo senso, essa distoglie l’attenzione da pericoli più insidiosi. Che impresa eccezionale essere riusciti a mettere tutta l’umanità pensante davanti a ‘schermi’ di ogni tipo: computer, televisioni, cinema e telefonini! Che sforzo straordinario averla convinta che questi mezzi sofisticati fossero in grado di favorire la conoscenza e la trasmissione del sapere! L’esistenza di uno Stato rappresenta in definitiva poca cosa in confronto a questi inganni, a queste fonti di illusioni universalmente diffuse, ma essa presenta il vantaggio di costituire un criterio di verità, una pietra di paragone che consente di valutare in modo infallibile i principii e le politiche contemporanee. A cominciare beninteso dai sofismi elaborati dai sionisti stessi per giustificare la loro impostura, questi discorsi compiacenti che spiegano che gli ebrei non fanno altro che recuperare una terra “che è stata data loro da Dio”, e che stanno mettendo fine a un esilio iniquo che s’è prolungato per quasi due millenni, ignorando, o fingendo di ignorare, che in realtà si tratta di un bando. Altri giustificano la legittimità dello Stato ebraico con il fatto che è stato riconosciuto dalle Nazioni Unite, come se questa organizzazione fosse il Tempio dello Spirito Santo! Ma bisogna riconoscere, a rischio di dispiacere a molti, che uno ‘Stato palestinese’, se un giorno dovesse nascere, per quanto riguarda la tradizione islamica sarebbe altrettanto illegittimo. L’Islam non ha la vocazione di creare degli Stati, e tanto meno di favorire un qualsiasi sentimento nazionale. La nozione di ‘Stato islamico’, ovunque venga rivendicata, è una contraddizione in termini. La sola ad essere appropriata è quella dell’Impero, a condizione che il potere temporale sia esercitato in nome di un’autorità spirituale, ciò che non sarà realizzabile che al tempo del Mahdî. In nessun caso, contrariamente a quello che ci si vuol far credere oggi da diverse parti, un tale potere non può essere il frutto di una qualsiasi politica partigiana. Bisogna insistervi, perché su questo punto le caricature (non visibili, ma mentali, il che è peggio) abbondano. Si deplora che l’Islam non sia rappresentato da una ‘struttura’ esteriore gerarchizzata come nella Chiesa cattolica, ma questa è una posizione ipocrita e incoerente, perché tale rappresentanza sarebbe possibile solo attraverso la restaurazione di un vero califfato, che per essere legittimo dovrebbe necessariamente essere proclamato a Mecca; ma questo l’Occidente moderno non lo vuole in nessun caso, perché sa perfettamente che così si esporrebbe, assieme alla sovversione sionista, al più temibile dei pericoli.
Queste considerazioni non sono estranee alle circostanze che hanno portato la Chiesa cattolica a riconoscere lo Stato sionista. Nel 1993 i Palestinesi caddero nella trappola degli Accordi di Oslo, commettendo l’errore di riconoscere ‘Israele’ nella speranza che questo a sua volta li avrebbe riconosciuti. Ciò significava ignorare che i sionisti considerano che l’esistenza e la legittimità del loro Stato derivino da un diritto divino: non danno mai nulla in cambio. Qualsiasi negoziazione ha l’effetto di mettere i propri interlocutori alla loro mercé. Ogni volta che si perdono di vista i principi e si cede a questioni di opportunità i sionisti ne traggono vantaggio. I Palestinesi ne hanno fatto l’amara esperienza, seguiti dal papato. Questo prese a pretesto tali Accordi per commettere l’irreparabile, legittimando a sua volta la sovversione sionista, ma il suo errore fu incomparabilmente più grave. Dal lato palestinese, i negoziatori non rappresentavano nient’altro che una parte politica: l’Islam non era coinvolto né compromesso in alcun modo. Da parte cattolica, si trattava della Santa Sede, che è la più alta autorità spirituale in Occidente, e, dalla fine dell’impero cinese, la più antica istituzione tradizionale che sussiste in questo mondo. Difficilmente si potrebbe immaginare peggior prevaricazione.
Gli errori dell’attuale papa, [si trattava di Bergoglio, n.d.t.] hanno finito per compromettere l’autorità pontificia a riguardo del governo della Chiesa: un giorno depone una corona sulla tomba del fondatore del sionismo, cosa a cui nessuna considerazione di opportunità diplomatica lo obbligava; un altro giorno ha la sfrontatezza di far la predica ai musulmani chiedendo loro di denunciare lo pseudo-Stato Islamico dell’Iraq, perché “non è il vero Islam”, mentre si guarda bene dal chiedere agli ebrei di opporsi allo Stato sionista, come se quest’ultimo rappresentasse il vero giudaismo! Un altro giorno ancora scopre che esiste un “terrorismo di Stato” e lo condanna in modo tale che a Tel Aviv si sentono presi di mira! Cosa significano questa incoscienza e queste improvvisazioni,[3] se non che a Roma non c’è più alcuna autorità propriamente pontificia? Ma questo richiede alcune spiegazioni.
La Chiesa cattolica è romana, ed è alla tradizione romana che si riferisce la qualità di Pontifex Maximus. Da decenni è stato fatto di tutto per indebolirla. Con il pretesto che il papa dovrebbe essere innanzitutto un pastore, si è voluto ridurre la sua funzione a quella di un ‘vescovo di Roma’. Ricordiamo quindi che, anche se sono possibili delle eccezioni, è naturale che spetta ad un latino esercitare l’autorità pontificia. Oggi l’eccezione è diventata la regola. Dopo due papi estranei alla latinità (un polacco, poi un bavarese), è stato chiamato un sudamericano, per di più gesuita, a ricoprire una funzione per la quale non era preparato. ‘Francesco’ è il primo papa al quale non corrisponde nessun motto nella cosiddetta profezia detta di san Malachia. I rari elementi che collegavano la Santa Sede alla Tradizione universale sono stati abbandonati: il ‘potere delle chiavi’ non è più esercitato da molto tempo, e l’uso della tiara è stato abbandonato.[4] Rimane solo il pallio, che evoca la dea polare Pallade Atena e la tradizione pitagorica da cui dipendeva la Roma antica. Queste successive rinunce hanno privato la funzione pontificia della sua sostanza. Privo di ogni direzione spirituale, l’Occidente è lasciato a se stesso, esposto a tutti i pericoli.
A proposito del sionismo, ricordiamo ancora una volta che è inutile e contraddittorio opporsi nominalmente allo ‘Stato d’Israele’. Il santo nome di Israele è l’essenza della spiritualità giudaica. Il suo significato è “Che Dio regni! Che si mostri forte!” Combattere lo ‘Stato d’Israele’ si risolve quindi in una conferma della profanazione di cui il popolo ebraico si è reso colpevole utilizzando questo nome, nell’affermare che questo Stato è l’oggetto di una benedizione divina, e in definitiva nel rafforzarlo. L’unico atteggiamento conforme alla verità e al diritto consiste nel rifiutarsi di riconoscerlo, qualunque sia il prezzo da pagare per tale rifiuto. La fazione palestinese rimasta fedele all’Islam è un popolo martirizzato a causa della sua fede. La sua coraggiosa resistenza non è vana, perché sarà lei ad avere l’ultima parola.
Una delle peggiori imposture è quella che assimila l’antisionismo all’antisemitismo. Che dei dirigenti sionisti operino questa confusione non ha nulla di sorprendente, perché essi vi trovano il loro interesse. Ma cosa dire quando, in un paese che dovrebbe essere laico e ‘neutrale’ in materia di religione, un ministro dell’Interno responsabile dei culti commette pubblicamente questo abuso, se non che si tratta da parte sua di una affermazione anti-islamica? Quel che è peggio è che questa non suscita né imbarazzo né protesta, tanto la perdita dei riferimenti tradizionali più elementari è diventata generale. Anche qui la verità è agli antipodi di quanto viene affermato con arroganza. Il sionismo è il peggiore antisemitismo che ci sia, perché porterà inevitabilmente il popolo ebraico alla sua perdita. Bisogna essere veramente ciechi per non vedere che la sua dispersione comporta in realtà una misericordia. Cercando di riunirsi di nuovo sulla sua terra d’origine, esso rinuncia alla protezione inerente alla sanzione di cui è stato oggetto, e si espone agli sguardi di tutti. Costretto a erigere un muro, si rinchiude in un nuovo ghetto, ed inizia a realizzare che ha creato esso stesso una trappola dalla quale non potrà più scappare.
Ne La Profanazione d’Israele denunciavamo l’ambizione profonda del sionismo in questi termini: “Lo Stato ebraico è uno Stato apparentemente laico utilizzato dalla contro-iniziazione per portare a compimento i suoi fini: una contraffazione della teocrazia giudaica, ed una restaurazione sacrilega della sovranità spirituale e temporale del popolo ebraico.”[5] Questa interpretazione è stata contestata ed attribuita alla nostra immaginazione. Tuttavia, essa ci sembra confermata da ciò che accade oggi a Gerusalemme, dove sotto la pressione dei rabbini cosiddetti ‘ultra-ortodossi’ (sebbene siano i più lontani da qualsiasi ortodossia), l’accelerazione del processo antitradizionale è costante, in particolare a riguardo della questione della ricostruzione del Tempio. A questo proposito è degno di nota l’ultimo numero de La Règle d’Abraham.
La rivista si limita ormai ad una sola pubblicazione all’anno, a cui si aggiungono occasionalmente dei numeri speciali. Il numero 36, annunciato per dicembre 2014, è stato pubblicato solo a febbraio 2015. Un numero speciale era apparso in precedenza a settembre con il titolo Swâmî Karpâtrî. Présence de l’hindouisme traditionnel. Constatiamo che il periodico ha cambiato formato, tipografo,[6] ma anche, in modo più sottile e più preoccupante, orientamento. Nel numero non si trova alcuna traccia né di Michel Vâlsan (ovviamente) né di René Guénon, né tantomeno di Ibn Arabî. Forse quest’ultima assenza è temporanea, ma è lecito lamentarsi che allo studio di Giraud apparso nei numeri 29, 32 e 35 [7] si sia preferito quello di Pisani,[8] privo di qualsiasi interesse dottrinale. In compenso, si parla abbondantemente di giudaismo, con un accento marcato sulla ricostruzione del Tabernacolo e sul restauro del Tempio, citati prima nell’articolo di Yehuda Moraly Les mystères du Tabernacle, ou Reconstruire le Paradis,[9] e poi nello Étude critique in cui David Taillades riferisce di uno studio di Tessa Morrison su Isaac Newton. Questo nuovo orientamento è così netto che si ha il diritto di interrogarsi sulle reali intenzioni di Patrick Geay. Nel numero 137 di Vers la Tradition, Marc Férel, che segue da vicino La Règle d’Abraham, aveva già notato una tendenza a esagerare l’‘influenza ebraica’,[10] soprattutto quella della cabala. Quale sarà la sua reazione di fronte a questo nuovo numero che va nel senso delle sue inquietudini? Per quanto ci riguarda ci limiteremo a ricordare che è Geay, e solo lui, a considerare la questione sionista come facente parte di ciò che chiama “il fondo delle cose.”[11] Ancor più strano è questo passaggio che figura nella Postface che ha redatto per il numero su Swâmî Karpâtrî: “A parte l’esempio propriamente eccezionale di Guénon, che ebbe giustamente la missione spirituale di svelare l’origine unica delle forme tradizionali, pochissimi maestri ebbero la visione interiore di questa unità (…).” Su questo punto, René Guénon non ha fatto altro che riprendere l’insegnamento del Corano e dell’Islam, che proclamano apertamente la dottrina dell’‘origine unica’ rendendola accessibile a tutti. Geay può essere cambiato a tal punto da arrivare a disconoscere questo privilegio della tradizione islamica? Grama conclusione per un giovane le cui qualificazioni intellettuali predisponevano ad un avvenire migliore. A. R. Y.
NOTE: [1] “Siamo tutti Charlie” poteva significare infatti “siamo tutti vittime dell’intolleranza” così come “siamo tutti dei blasfemi.” [2] Quali grida si sarebbero udite se esse si fossero ritrovate, acconciate con una kefiah, alla Grande Moschea, dove fosse stato astutamente introdotto uno stendardo dello ‘Stato islamico’! [3] Che ritroviamo nelle acrobazie diplomatiche in materia di canonizzazioni pontificie e che meriterebbero uno studio speciale. [4] Essa fu portata per l’ultima volta da Paolo VI, che aveva difficoltà a nascondere il proprio imbarazzo. [5] Si veda pag. 59. [6] Costui afferma con la massima serietà che “metaforicamente l’editore, nel suo gesto tipografico (sic), aspira a trasformare il piombo in oro. Questa opera è stata composta non di piombo, ma di luce (…)». In materia di divagazione mistica, il ‘rettificatore luminoso’ è in buona compagnia! [7] Come c’era da aspettarsi, la sua traduzione del Libro delle Soste per le edizioni Albouraq sembra definitivamente compromessa. Una tale leggerezza da parte dell’editore e del traduttore è scioccante. Non si poteva improvvisare per un progetto di tale importanza. [8] Intitolato: Waraqa Ibn Nawfal, un chrétien aux origines de l’Islam? [9] Questo autore, che insegna all'università ebraica di Gerusalemme, sembra avere qualche difficoltà a esprimersi in francese. L'ultima frase del suo testo è incomprensibile: “Il Tabernacolo, poi i due Templi, permettono questo incontro soprannaturale. I Templi sono distrutti, l’allontanamento si verifica di nuovo, ma alla fine dei tempi, accadrà di nuovo, con l’arrivo del messia, unendo anch’esso queste due dimensioni di bontà e di rigore (…).” Come può assimilare la venuta del messia a un nuovo allontanamento? [10] Si veda pag. 79. [11] Si veda il Bollettino intitolato Critiques et imprudences. | |