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LA PAGINA DEL venerdì

  
 

 
 

la Pagina del VenerdìPresentiamo alcuni brani tratti dal testo di Sheykh ‘Abdu r-Razzâq (Ch.-André Gilis) La profanazione di Israele, che rappresentano un supporto e una base tradizionale e dottrinale necessaria a chiarire  la natura propria del sionismo (ben diverso secondo l'autore dal Giudaismo tradizionale), e ad inquadrare gli accadimenti attuali in una prospettiva che si rifà agli insegnamenti di René Guénon. 

Da un libro di Gilis riguardante il sionismo

Quanti erano a conoscenza da una parte della situazione sempre più insostenibile che stavano vivendo i Palestinesi, letteralmente martirizzati dall’oppressione sionista, e dall’altra, e soprattutto, della crescente protervia degli attacchi rivolti contro la Moschea di Gerusalemme (in arabo masgidu l-aqsâ), nonché del processo di ‘giudaicizzazione’ forzata di questa città santa (fatti questi ultimi che non possono che far inorridire ed indignare ogni spirito legato alla Tradizione), non si sono certo sorpresi dei recenti avvenimenti, quelli cioè che si sono sviluppati a partire dal 7 Ottobre 2023, avvenimenti che peraltro non sono da considerare semplici eventi di ordine ‘politico’, ma richiedono di essere ben compresi, nei loro dati fondamentali, da un punto di vista tradizionale. I seguenti brani, tratti dal testo di Sheykh ‘Abdu r-Razzâq (Ch.-André Gilis) La profanazione di Israele, di prossima pubblicazione per le edizioni ‘Orientamento / Al-Qibla’, sono certamente d’aiuto nell’avere ben chiara la natura profondamente ‘sovversiva’ del sionismo (che egli distingue nettamente dal Giudaismo tradizionale), e nell’inquadrare ciò che accade nella prospettiva degli insegnamenti di René Guénon. Ricordiamo che questo libro di Gilis fa parte di un gruppo di sue opere, che definiremo ‘santamente polemiche’, che hanno la finalità di descrivere lo stato delle Tradizioni e delle organizzazioni iniziatiche ancora presenti all’interno del mondo occidentale: ecco che, oltre al libro sul sionismo di cui oggi presentiamo alcuni capitoli, Gilis ha pubblicato anche un testo sulle chiesa cattolica attuale (intitolato Il papato contro l’Islam. Cronaca di una deriva), ed uno sulla Massoneria (Ordo ab Chao); inoltre, nel suo testo intitolato L’integrità islamica. Né integralismo né integrazione (la cui traduzione italiana è in vendita presso le nostre edizioni) Sheykh ‘Abdu r-Razzâq ha messo in guardia contro le tendenze moderniste presenti nell’Islam. Il testo sul sionismo non è dunque un unicum, e questo in buona sostanza in quanto tale movimento con le sue pessime imprese costituisce solamente un piccolo aspetto della deviazione moderna e delle tendenze dissolutrici dell’epoca attuale; e sarebbe un errore (o più precisamente un ‘velo’ intellettuale) attribuirgli un’importanza maggiore di quella che ha in realtà. Lo stesso Gilis avvisa, nel 24esimo dei suoi Bullettins pubblicati sul sito della sua casa editrice Le turban noir, di come “in un certo senso” il sionismo “distoglie l’attenzione da pericoli più insidiosi. Che impresa,” continua Gilis facendo un esempio di tali pericoli, “esser riusciti a mettere l’intera umanità pensante davanti a ‘schermi’ di ogni tipo: computer, televisioni, cinema e cellulari. Che impresa averla convinta che questi mezzi sofisticati potevano favorire la conoscenza e la trasmissione del sapere! L’esistenza di uno Stato,” quello sionista, “in definitiva rappresenta ben poco di fronte a queste lusinghe.” E si potrebbero fare diversi esempi delle pericolosissime tendenze della civiltà moderna, e della sua azione devastante in ogni campo. E tuttavia, rimane il fatto che attualmente, come si esprime sempre Gilis nello stesso Bulletin, l’esatta comprensione del sionismo “ha il vantaggio di costituire un criterio di verità, una pietra di paragone che permette di valutare in modo infallibile le dottrine e le politiche contemporanee.” E questo indubbiamente per il significato simbolico maggiore della contraffazione della Religione e della “falsa restaurazione spirituale” che esso propone, e che costituisce una chiara prefigurazione dell’intervento dell’anticristo, come ben hanno intuito i Musulmani palestinesi.

                                                            Capitolo nono
                                                   Il Giudaismo contraffatto

           
(…) Vediamo il modo con il quale il movimento sionista appare alla luce del giudaismo ortodosso, oggi qualificato come ‘ultra-ortodosso’ o ‘ultra-religioso’ allo scopo di legittimare con questo artificio il sionismo che si pretende religioso di Rav Kook e dei suoi emuli: “I testi sacri che prevedevano il ritorno degli esuli all’epoca dei tempi messianici erano, secondo i rabbini, del tutto espliciti: questo ritorno in Terra Santa avrebbe avuto luogo quando Dio avrebbe deciso, e non quando gli ebrei avrebbero voluto mettere fine all’Esilio. I testi, letti dai saggi, vietavano agli ebrei di rivoltarsi e di rompere il giogo delle nazioni, anche quando le loro sofferenze erano atroci. Ciò spiega l’intransigenza assoluta dei rabbini dell’Europa dell’Est e dell’Europa centrale nei confronti del sionismo.”1] Questa visione ortodossa non esprime un punto di vista identico alla legge sacra dell’Islâm, ma ha il merito di essere perfettamente compatibile con questa. D’altronde si ricorderà che le ‘sofferenze atroci’ erano inesistenti là dove questa legge era effettivamente applicata. Il movimento sionista, quali che siano le sue modalità, le sue tendenze e le sue contraddizioni, appare fondamentalmente come un tentativo di mettere fine a questo divieto. Che si presenti sotto una apparenza laica e profana o sotto una forma religiosa e messianica, il punto essenziale è che esso è antitradizionale per la sua stessa natura. Dal punto di vista della religione esso non rappresenta il Giudaismo, ma la sua contraffazione. La verità è che questo movimento e lo Stato che ne è derivato sono dei puri prodotti dell’aggressività sovversiva del mondo moderno, che è suo alleato e suo complice. La contraddizione apparente tra la tendenza ‘laica’ e la tendenza ‘religiosa’ si spiega in realtà per mezzo della distinzione stabilita da René Guénon tra la nozione di ‘antitradizione’ e quella di ‘contro-tradizione’. Dopo aver indicato che la prima deve essere “intesa come una negazione pura e semplice”, egli precisa: “V’è qui una distinzione simile a quella che abbiamo fatto precedentemente tra deviazione e sovversione, e che corrisponde ancora alle due stesse fasi dell’azione antitradizionale considerata nel suo insieme: l’‘antitradizione’ ha avuto la sua espressione più completa nel materialismo che potremmo dire ‘integrale’, quale regnava verso la fine del secolo scorso;2]  quanto alla ‘contro-tradizione’, noi ne vediamo ancora solo i segni precursori, costituiti precisamente da tutte quelle cose che mirano a contraffare in un modo o nell’altro l’idea tradizionale stessa.”3] Il sionismo laico e nazionalista nato ‘alla fine del secolo scorso’ corrisponde effettivamente alla prima fase descritta da René Guénon, mentre il sionismo messianico rappresenta una vera e propria contraffazione, che deriva da questa ‘contro-tradizione’ della quale ‘vediamo ancora solo i segni precursori.’

                                                       Capitolo decimo
                                              La profanazione d’Israele


              
Il più significativo e inquietante di questi segni è ai nostri occhi questo nome di Israele del quale lo Stato sionista s’è appropriato senza alcun diritto; si tratta infatti di una manifesta profanazione. La definizione di ‘sionismo’ conteneva già un equivoco, perché faceva allusione a Sion, la montagna santa di Gerusalemme sulla quale era stata costruito il Tempio. Cosa dire allora del Santo Nome di Israele, dato da Dio a Giacobbe in seguito ad un combattimento dal quale egli uscì vittorioso, e la cui portata iniziatica (con i molteplici significati che comporta) è unanimemente riconosciuta? Israele è l’essenza della spiritualità propriamente giudaica, ed è il patriarca eponimo del popolo ebraico. Le dodici tribù vengono da lui. Etimologicamente questo Nome è legato ad una idea di potenza e di vittoria, perché significa ‘Che Dio regni! Che si mostri forte!’ Ed è questo nome sacro che ora è portato da uno Stato moderno, sovversivo nella sua stessa costituzione perché pretende di mettere fine con dei mezzi profani ad una sanzione divina! C’è bisogno di tutta l’indifferenza e l’incoscienza del mondo occidentale per non realizzare l’enormità di una tale usurpazione. Si può immaginare una ‘Repubblica di Allâh’, un ‘Regno del Cristo-Re’ o ‘del Viaggio Notturno’ che si installano in Palestina? Nel caso di specie l’atto profanatore è pericoloso a maggior ragione in quanto comporta una astuzia tattica. La preoccupazione maggiore di uno Stato illegittimo, per non dire la sua ossessione, è naturalmente quella di essere riconosciuto. Ora, nel caso presente questo riconoscimento non riguarda solo l’esistenza di questo Stato, ma anche il diritto di portare il nome che si è attribuito. Riconoscere lo ‘Stato di Israele’ implica che si convalida la profanazione di cui s’è reso colpevole, che si diviene suoi complici, e soprattutto che lo si dichiara, a torto, favorito da una benedizione divina ed investito dall’incarico di instaurare il regno di Dio e di assicurare la Sua potenza. Combattere un tale Stato [in maniera esclusivamente esteriore] significa rafforzarlo, mentre riconoscerlo è rafforzarlo maggiormente: questo è il dilemma infernale. Per ogni spirito tradizionale, l’unico atteggiamento legittimo, fondato insieme sulla verità e sul diritto, è quello di rifiutare tale riconoscimento, quale che sia il prezzo da pagare per questo rifiuto. Il primo dovere di un ebreo ortodosso, di un cristiano o di un musulmano è quello di non riconoscere lo Stato ebraico. Detto questo, va da sé che la doppiezza e la debolezza degli uomini non hanno il potere di modificare il Diritto divino, o di renderlo nullo. In virtù della missione sua propria e grazie alla sua posizione ciclica, l’Islâm è più idoneo di ogni altra religione a vigilare sul rispetto di questo Diritto, e sul mantenimento dell’ortodossia tradizionale. Si può essere sicuri che non accetterà mai il fatto compiuto.
             Le conseguenze politiche delle illusioni del mondo moderno a riguardo del sionismo sono di un’evidenza ineludibile. L’esigenza ripetuta continuamente di ‘assicurare la sicurezza dello Stato ebraico’ esprime una contraddizione in termini. La pace nella regione è impossibile fino a quando questo Stato vi resterà presente. Ogni negoziato con i suoi dirigenti non può che essere svantaggioso per coloro che lo intraprendono, perché il semplice fatto di intraprenderli offre già ai sionisti tutto l’essenziale, e cioè il riconoscimento almeno implicito del loro Stato: perché quindi dovrebbero fare delle concessioni a dei negoziatori i quali, senza essere propriamente dei fantocci, non possono in nessun caso essere considerati come dei rappresentanti dell’Islâm?
            Il sionismo è una ideologia che mira a ristabilire la sovranità e la potenza ebraiche sul Monte Sion; essa non ha come fine primo, checché se ne dica, di assicurare al popolo ebraico la sicurezza e la pace. Se lo Stato che lo rappresenta non può sussistere che grazie al ricorso costante alla forza militare, in realtà poco gli importa. La pace, la sicurezza, i negoziati non sono che delle esche tattiche al servizio di una strategia della quale non ci resta che descrivere lo scopo finale. Del resto, non è affatto escluso che il ricorso alla forza possa riuscire, almeno per un certo tempo, perché una delle caratteristiche del mondo moderno è quella di cercare per mezzo di artifizi di realizzare in modo illusorio delle impossibilità, e di renderle credibili con dei falsi prodigi. Tale fu il caso, ad esempio, della ‘camminata sulla Luna’ che un autore tradizionale (salvo errori, si tratta di Frithjof Schuon) aveva affermato essere impossibile. Per mezzo di una sorta di miracolo tecnico e scientifico essa fu realizzata egualmente, e presentata come un ‘grande passo per l’umanità’, a dispetto del buon senso e del giudizio tradizionale. Eppure, oggi ci si rende conto (anche se si evita di riconoscerlo) che questo autore aveva visto giusto, e aveva detto la verità. L’impossibilità dell’impresa si mostrò nel fatto che si rivelò senza futuro, per delle ragioni sia umane che materiali. Anch’essa fu un’esca vera e propria, che ebbe per effetto che si abusasse di una generazione. Se un giorno il trionfo dello Stato sionista dovesse essere assicurato dalle armi, sarebbe sicuramente dello stesso ordine: antitradizionale nella sua essenza e di durata effimera.

                                                          Capitolo undicesimo
                                                          Un tempio sacrilego?


            
Nel testo che abbiamo citato in precedenza, René Guénon indicava a proposito della contro-iniziazione: “Non ne vediamo ancora che dei segni precursori, costituiti precisamente da tutte le cose che mirano a contraffare, in un modo o nell’altro, l’idea tradizionale stessa.” Questo è il caso del sionismo, che è una contraffazione del Giudaismo, il sionismo, che mantiene continuamente un equivoco a proposito della propria natura e dei propri fini reali, e che non dice apertamente ciò che lascia presagire la profanazione del Nome di Israele. Nondimeno, è facile vedere come il ristabilimento della potenza ebraica sul Monte Sion come è oggi messa in atto annuncia ben di peggio: la costruzione di un terzo Tempio a Gerusalemme nel luogo definito come la ‘Spianata delle Moschee’, in ragione degli edifici islamici che vi sono stati eretti, e in particolare della moschea detta ‘di Omar’, situata nel luogo in cui il Profeta pregò una preghiera di due rakat davanti all’insieme dei profeti che l’avevano preceduto, e dalla quale egli intraprese la sua Ascensione notturna. Certo, questo scopo non è dichiarato pubblicamente, perché quella che viene chiamata ‘opinione internazionale’ non è pronta ad accettarlo, ma non mancano gli indizi premonitori. Del resto abbiamo mostrato come gli obiettivi manifestati dal movimento sionista vengano modificati in modo costante. È importante comprendere bene la natura della disgrazia che colpì il popolo ebraico quando il Tempio di Erode fu distrutto: questa distruzione fu sentita come un vero cataclisma, perché rimetteva in causa l’alleanza sulla quale era fondata la nozione di ‘popolo eletto’. Secondo un autore ebreo,4] “i rabbini erano talmente consapevoli di come questo crollo aprisse una nuova era di desolazione che introdussero l’uso di datare gli eventi in riferimento alla distruzione del santuario.” E ancora, fu istituita una commemorazione annuale, quella di Tisha Bev, il nono giorno del mese di Av. Da circa due millenni questo giorno, anniversario della distruzione del tempio, è per gli ebrei un giorno di lutto e di digiuno, preceduto da un periodo di astinenza. Eppure, secondo il fondatore del settimanale Tribune Juive “in questo giorno di lutto estremo, e fin dalla vigilia, (gli ebrei) hanno proscritto alcune liturgie del lutto. Perché, affermano i rabbini, è necessario mettere il 9° giorno di Av in serbo redentivo.”5] Altrove lo stesso autore si mostra ancora più preciso: “Venti secoli di diaspora hanno rafforzato presso gli Ebrei l’idea dei Profeti che il tempio sarà ricostruito. I figli di Aronne, di qualsiasi generazione, sono stati istruiti nella certezza che nel giorno M (M sta per Messia) prenderanno il loro servizio nel terzo Tempio. I più diligenti tra loro hanno studiato il gran numero di prescrizioni legate a questo culto (…). A Gerusalemme dozzine di gruppi preparano la ricostruzione del Tempio, dal rifacimento in grandezza naturale degli oggetti da porre nel santuario, alla composizione dei profumi e degli incensi, fino alle tuniche del gran sacerdote e a quelle degli altri cohanim.”6] In uno stile che fa spesso appello alla derisione, Grunewald prepara lo spirito dei suoi lettori, in un modo che pone indiscutibilmente la sua opera tra i ‘segni premonitori’ che abbiamo segnalato. Il Tempio che sarà ricostruito non sarà quello di Erode ma quello di Salomone, situato “sopra la collina, dove si innalza l’usurpatrice, quella che si chiama moschea di Omar.”7] L’edificazione di questa moschea da parte di Abd al-Malik è descritta in termini che sono a stento credibili: “Al fine di attirare a Gerusalemme i viaggiatori della Mecca, (Abd al-Malik) si mise in testa di costruire sulle sue terre un cattura-bigotti.”8] Ecco un testo che ha almeno il merito di essere chiaro: se un giorno si dovrà distruggere la moschea di Omar, terzo luogo santo dell’Islam, ciò porterebbe ad un ‘cattura-bigotti’ in meno, mentre la ricostruzione nello stesso luogo del tempio di Salomone dovrà viceversa essere considerata come la conferma dell’alleanza stabilita da Dio con il popolo ebraico, o per dirla con altre parole come un ritorno alla norma, e come il vero compimento della promessa messianica!9] Sarà così fornita la prova finale di come il Cristianesimo e l’Islâm non sarebbero stati che degli accidenti della storia, delle peripezie senza avvenire!
           Tra i preparativi sopra descritti, se possibile ancora più inquietante è la menzione della ‘tunica del gran sacerdote’, perché l’edificazione di un terzo Tempio si accompagnerebbe necessariamente ad una restaurazione del ‘gran sacerdozio’, ed alla possibilità di ristabilire in modo parodistico un nuovo ‘re d’Israele’. Tale sembra proprio essere il fine ultimo del sionismo, ciò che spiegherebbe la sua natura equivoca, sia politica che religiosa. Al contrario di Garaudy, noi pensiamo che lo Stato ebraico non sia uno stato nazionalista che ‘utilizza la religione’ per portare a compimento i propri disegni, ma che sia viceversa uno Stato apparentemente laico utilizzato dalla contro-iniziazione per portare a compimento i suoi fini: una contraffazione della teocrazia giudaica, ed una restaurazione sacrilega della sovranità spirituale e temporale del popolo ebraico. Ciò parrebbe costituire “l’abominio della desolazione innalzato in un luogo santo, del quale ha parlato il profeta Daniele”, come fu annunciata dal Cristo ai suoi discepoli.10]
          Anche altri indizi, che dipendono da una attualizzazione più recente, sono poco rassicuranti: oltre all’intensificazione degli scavi archeologici per ritrovare le fondamenta del tempio di Salomone, dobbiamo ricordare che il dirigente sionista che fu salutato nel 1982 in Libano al grido di “Arik, Re d’Israele”, è anche colui che divenne il capo del governo dello Stato ebraico dopo essersi “pavoneggiato sulla Spianata delle Moschee”, secondo l’espressione di Shulamit Aloni,11] la quale aggiunge: “Ecco che d’improvviso gli ebrei vogliono costruire un tempio su tale spianata.” Si tratta qui, senza alcun dubbio, di una nuova tappa dell’azione antitradizionale del movimento sionista.12]


NOTE:
1] Ilan Greilsammer, Laïcs et religieux en Israël, in Les Cahiers de l’Orient, n. 54, pag. 137.
2] Guénon intende naturalmente ‘verso la fine del XIX secolo’ (n. d. t.).
3] Il Regno della quantità, cap. XXXVIII.
4] A. Chouraqi Histoire du judaïsme, citato da Fau, op. cit. pag. 95.
5] J. Grunewald, Ils sont fous ces juifs, pag. 189.
6] Ibid., pagg. 38-9.
7] Ibid., pag.11. Il corsivo è nostro.
8] Ibid., pag. 12.
9] A partire da pag. 185 della sua opera, Grunewald le prova davvero tutte, e cita lungamente la tesi sviluppata da William L. Shirer ne Le Troisiéme Reich, des origines à la chute, secondo la quale il 23 Luglio 1942 Hitler commise un errore tattico che gli fu fatale, e che tra l’altro evitò al ‘Focolare’ nazionale ebraico di essere preso a tenaglia dalle armate del Reich. Grunewald insiste con compiacimento sul fatto che il 23 Luglio corrispondeva in quell’anno al nono giorno di Av del calendario ebraico, e suggerisce che questa coincidenza non è estranea all’effetto ‘redentore’ della celebrazione millenaria di Tisha Bev.
10] Vedi Matteo XXIV, 15.
11] Si veda Confluences méditerranéennes, n° 37, pag. 80.
12] Il vero ‘terzo Tempio’ è quello della Tradizione universale, la cui manifestazione finale è annunciata nell’ebraismo dalla presenza misteriosa del profeta Elia.
 

 
 
 
 
 

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