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Edizioni Orientamento-Al Qibla per la conoscenza dell’Islam e del Sufismo-Tasawwuf, e della Tradizione Sacra

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in generale,
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LA PAGINA DEL venerdì

  
 

 
 

la Pagina del VenerdìTratte dal "Tafsîr del glorioso Corano" appena pubblicato dalle Edizioni Orientamento/Al Qibla, proponiamo ai lettori della “Pagina del Venerdì” alcune pagine relative ai versetti 183-187 della ‘Sura della Vacca sacrificale (al-Baqara)’ riguardanti il digiuno, così come sono nel libro, ossia il testo arabo del Corano, la traduzione in italiano a fronte e il commentario, nel senso dell’arabo tafsîr (parola che indica l’idea di un ‘disserrare’ quanto è nascosto). Nella scheda dedicata di presentazione è possibile leggere una recensione più dettagliata dell'opera tratta dall'introduzione dell’autore della traduzione e del commento, Idris Zamboni.

I versetti 183-187 della Sura della Vacca sacrificale (al-Baqara)

«V’è stato prescritto il digiuno»: l’Altissimo si rivolge ai credenti di questa Comunità ordinando loro «il digiuno» (siyâm), termine che indica nell’etimologia il ‘trattenersi’ dal mangiare, dal bere e dai rapporti sessuali con intenzione puramente rivolta ad Allah, Potente ed Eccelso; nel digiuno infatti v’è purificazione dell’anima, e pulizia da umori cattivi e da caratteristiche vili del carattere, per cui esso è da considerare necessario nella Via spirituale. O diciamo che esso è purificazione per il corpo e restringimento delle vie d’accesso del demonio. Il digiuno inoltre è un’opera che appartiene interamente ad Allah, e che non ha simili tra le opere di adorazione. An-Nasa’î tramanda da Abû Umâma: “Andai dall’Inviato di Allah e gli dissi: ‘Dammi un ordine che io prenda da te!’ Lui rispose: ‘È tuo dovere il digiuno: invero esso non ha simile.’ ” Dice Ismâîl Haqqî: “Il digiuno è motivo dell’entrata nel Regno dei Cieli, ed è il mezzo per uscire dall’utero della ristrettezza delle realtà corporee, ciò che si definisce ‘seconda nascita’ nell’allusione contenuta nelle seguenti parole di ‘Îsâ: ‘Non entra nel Regno dei Cieli se non chi nasce due volte.’ Diremo anzi che lo sforzo del digiuno è legato alla contemplazione dell’Incontro, ciò a cui allude il hadith qudsî nel quale Allah dice: ‘Il digiuno Mi appartiene, e sono Io a dar retribuzione (per esso)’, laddove si deve intendere ‘Sono Io la sua retribuzione, e non le Mie Urì o i Miei castelli.’ Per questo Egli, sia esaltata la Sua trascendenza, ha attaccato il conseguimento della felicità della Visione alla fame, quando ha detto, rivolgendosi sempre a ‘Îsâ: ‘Patisci la fame, e Mi vedrai.’ (…) Nelle parole ‘Il digiuno Mi appartiene’ il digiuno è attribuito ad Allah: infatti in esso non v’è alcuna ipocrisia, ed anzi esso è un segreto che non conosce altri che Allah; e del resto sarà Allah la retribuzione del digiuno, nel momento in cui il credente trattiene il proprio cuore, il proprio Segreto e il proprio Spirito da altri che Lui, l’Altissimo, ciò che costituisce il digiuno veritiero, per l’élite dei credenti.” «Come è stato prescritto a quei che vennero prima di voi»: si tratta infatti di una prescrizione universale, presente anche nelle Religioni precedenti l’Islam. «A carico di coloro che ne sono in grado pur con gran pena, [ma decidono di non digiunare,] v’è un’espiazione che consiste nel nutrire un povero»: alcuni ritengono queste parole riferite ai primi tempi dell’Islam, quando il digiuno non era obbligatorio, e chi non digiunava doveva nutrire un povero, e in tal senso esse sono da considerare ‘abrogate’ dall’indicazione del versetto seguente sull’obbligo di digiunare a Ramadan. Altri invece le ritengono riferite ai vecchi, alle donne incinte e a quelle che allattano, e in tal caso non v’è abrogazione, in quanto tali categorie possono in effetti decidere di non digiunare.

Al-Mazharî riporta da Ibn ‘Abbâs: “Il Corano discese in una volta sola dalla Tavola Custodita (al-lawhu l-mahfûz) alla Casa della Potenza (baytu l-‘izza) nel Cielo più basso, e questo nella Notte del Valore, durante il mese di Ramadan; dopo di che Gibrîl lo fece discendere sull’Inviato di Allah secondo cadenze celesti in venti anni (…).” «Guida per gli uomini, chiare Indicazioni della Guida e del Discrimine». Dice Al-Baydawî: “Abbiamo qui due attribuzioni relative al Corano, come a dire che esso è disceso come Guida per gli uomini in ragione del suo carattere inimitabile, e come Segni (âyât) chiarissimi di ciò che guida al Vero e discrimina tra il Vero e il falso, e questo in ragione delle Sapienze e delle Norme in esso contenute.” «Chi di voi attesta il mese», e cioè chi vede la luna nuova di Ramadan, o gli vien data notizia che essa è stata avvistata da credenti affidabili, «digiuni»: abbiamo qui l’ordine coranico dell’avvistamento lunare effettuato direttamente dai credenti, coi loro occhi. Vediamo con As-Suyûtî alcuni hadith sull’eccellenza del digiuno di Ramadan. Si tramanda da Abû Hurayra sull’autorità di Al-Bukhârî che l’Inviato di Allah disse: “Allah, Potente ed Eccelso, ha detto: ‘Ogni opera del figlio di Adamo gli appartiene, eccetto il digiuno: esso appartiene a Me, ed Io ne dò la ricompensa.’ Il digiuno è uno scudo, e quando è giorno di digiuno per qualcuno di voi, egli neppure accenni al sesso, né parli ad alta voce o a vanvera; e se qualcuno lo ingiuria o lo combatte, dica: ‘Sto digiunando!’ Per Colui nella Cui Mano è l’anima di Muhammad: l’alito cattivo della bocca di colui che digiuna è più profumato presso Allah della fragranza del muschio. Chi digiuna prova due felicità: quando rompe il digiuno è felice perché ha smesso di digiunare, e quando incontra il suo Signore è felice perché ha digiunato.” Si tramanda da Abû Umâma, sull’autorità di Al-Bayhaqî: “Chiesi: ‘Inviato di Allah, ordinami un’opera che io prenda da te, e con la quale Allah mi sia di giovamento!’ Lui rispose: ‘Digiuna, perché il digiuno non ha simili.’ ” Si tramanda da Abû Hurayra, sull’autorità di Ibn Mâgiah, che l’Inviato di Allah disse: “Ogni cosa ha la sua elemosina obbligatoria e purificante (zakât), e la zakât del corpo è il digiuno.” «Completate dunque il numero» recuperando i giorni di digiuno eventualmente perduti perché malati o in viaggio, «e magnificate Allah, per come vi ha guidati»: sulla base di queste parole, molti ritengono che nella Festa della rottura del digiuno sia prescritto pronunciare il takbîr (e cioè le parole Allahu akbar, ‘Allah è più Grande’). Secondo Ibn ‘Atiyya, è raccomandato aggiungere al takbîr altre formule di Ricordo di Allah, dicendo in particolare: “Allah è magnificamente più Grande (Allahu akbaru kabîran), sia frequentissima Lode ad Allah (al-hamdu li-llahi kathîran), esaltata sia la trascendenza di Allah al mattino e alla sera (subhâna Allah bukratan wa asîlan).” As-Suyûtî tramanda a sua volta il takbîr di Ibn Mas‘ûd: “Allah è più Grande! Allah è più Grande (Allahu akbaru Allahu akbar)! Non v’è divinità all’infuori di Allah (lâ ilâha illâ Allah)! Allah è più Grande, e la Lode spetta ad Allah (Allahu akbar wa li-llahi l-hamd).”

«Quando i Miei servi ti chiedon di Me»: Al-Qushayrî ricorda come si alluda qui a quanti hanno vera qualificazione spirituale, dal momento che si parla dei servi che ‘chiedono di Allah’, e non di “una qualche norma, o di una qualche creatura, o della Religione, o di qualcosa del basso mondo, o dell’Esito finale.” «Ecco, Io sono Vicino (fa-innî Qarîb)»: As-Sâbûnî fa notare giustamente l’assenza dell’imperativo qul (‘dì’), presente nel Corano in simili contesti (seguendo i quali qui avremmo dovuto avere ‘Se i Miei servi ti chiedono di Me, dì loro che Io sono Vicino’). L’espressione che ne risulta, indica una successione immediata (che rendiamo in italiano con «ecco»), ed è assai ‘diretta’, nonché in qualche modo conforme nella sua formulazione al significato della ‘Prossimità’ divina. Allah infatti, dice As-Sâbûnî, “nell’incaricarSi della risposta, e dunque nel far sì che essa non dipenda da un mediatore qualsiasi tra Lui e chi chiede, vuole fare comprendere la Sua estrema Prossimità a loro, la Sua Presenza cioè assieme a tutti coloro che chiedono.” Ibn Kathîr tramanda da Abû Mûsâ Al-Ash‘arî, sull’autorità di Ibn Hanbal: “Eravamo assieme all’Inviato di Allah in una spedizione militare, ed ecco che non salivamo per una salita, né discendevamo in un avvallamento, senza alzare la voce nella magnificazione di Dio (takbîr). Egli allora ci si avvicinò e disse: ‘Gente, calmatevi! Non state invocando un sordo, né un assente, ma Colui che ascolta e che vede. Colui che invocate è più Vicino a ciascuno di voi di quanto non lo sia il collo della sua cavalcatura. O Abd Allah ibn Qays, non ti insegnerò una parola che fa parte dei tesori del Giardino? Essa è -Non v’è forza né potenza se non in Allah (lâ hawla wa lâ quwwata illâ bi-llah)-.’ ” Ancora sull’autorità di Ibn Hanbal, si tramanda da Anas che il Profeta disse: “Allah l’Altissimo dice: ‘Io sono presso il pensiero che il Mio servo ha di Me, e sono con lui quando Mi invoca.’ ” Sempre Ibn Hanbal tramanda da Abû Hurayra che l’Inviato di Allah disse: “Allah l’Altissimo dice: ‘Io sono con il Mio servo fintanto che Mi ricorda e muove le sue labbra in Me.’ ” As-Suyûtî riporta da Ka‘b: “Mûsâ disse: ‘Signore, Tu sei Vicino, così che possiamo entrare in intimo colloquio con Te, o sei lontano, così che ti dobbiamo chiamare?’ ‘Mûsâ,’ rispose, ‘Io sono seduto assieme a chi Mi ricorda!’ ‘Signore,’ chiese ancora, ‘noi siamo in certi stati in cui Ti riteniamo troppo maestoso per poterTi ricordare!’ ‘E quali sono?’, chiese a Sua volta, e lui rispose: ‘Lo stato di impurità maggiore, e quando siamo nella ritirata.’ ‘Mûsâ,’ concluse Allah, ‘ricordaMi in ogni stato.’ ” «Rispondo all’invocazione di chi invoca quando Mi invoca». Ibn Kathîr tramanda dal Sahîh di Muslim queste parole profetiche: “Il servo non cessa di essere esaudito sintanto che non invoca Dio per ottenere una cosa che è peccato, o qualcosa che implica la rottura dei legami di sangue, [e] sintanto che non fa fretta.” “Inviato di Allah,” gli chiesero, “cosa s’intende per far fretta?” Lui disse: “È quando uno dice: ‘Ho invocato, ho invocato, ma non vedo che Egli mi risponda!’ In tal modo egli pieno di rammarico si stanca, e smette di invocare.” Da notare infine come nel fatto che l’Altissimo metta questo versetto che invita all’invocazione inframmezzato tra i versetti contenenti le norme relative al digiuno v’è un’indicazione a sforzarsi nelle invocazioni quando si è portato a compimento il numero dei giorni del digiuno, e anzi ogni qual volta si rompe il digiuno.

Ibn Kathîr riporta da Ibn Abbâs: “Prima che discendesse a proposito del digiuno ciò che in effetti discese, i Musulmani mangiavano e bevevano, ed era loro lecito stare con le donne, se non che quando uno di loro s’addormentava, non beveva, non mangiava e non andava con sua moglie sino a quando il giorno dopo non rompeva il digiuno. Ci è stato riportato che [una notte] Umar ibn Al-Khattâb dopo che s’era addormentato, e che [di conseguenza] era tenuto a digiunare, [si svegliò ed] ebbe rapporto con sua moglie. Allora andò dal Profeta e disse: ‘Mi dolgo davanti ad Allah e davanti a te di ciò che ho fatto!’ ‘E cos’hai fatto?’, gli chiese. Lui rispose: ‘Il mio animo mi ha mal consigliato, e ho avuto rapporto con mia moglie, anche se avevo dormito, e volevo digiunare.’ Si ritiene che il Profeta gli abbia detto: ‘Non avresti dovuto farlo.’ Poi discese il Libro con le Parole «V’è reso lecito la notte del digiuno il sesso con le vostre donne».” Come osserva acutamente Ahmed Naeemi, da questo si trae indicazione di come a volte gli ‘errori’ dei santi e dei pii si rivelano essere un bene e un dono per gli uomini. Al-Bukhârî tramanda da Sahl ibn Sad: “Discesero le parole «Mangiate e bevete, sino a che non distinguete il filo bianco dal filo nero», ma non le parole «dell’alba». Ecco che quando qualcuno degli uomini voleva digiunare, si allacciava alle gambe un filo bianco e un filo nero, e continuava a mangiare sino a quando non li vedeva chiaramente. In seguito Allah fece discendere le parole «dell’alba»: allora compresero che Egli intendeva ‘sino a che non distinguete la notte dal giorno.’ ” Il fatto che Allah renda lecito il mangiare sino al sorgere dell’alba è una chiara indicazione di come sia raccomandabile il pasto che si fa nell’ultima parte della notte (suhûr): si tratta anche qui di una facilitazione, e servirsene è cosa amata da Dio. Per questo è indicazione accertata della sunna profetica fare questo pasto. Nei due Sahîh di Al-Bukhârî e di Muslim si tramanda da Anas che l’Inviato di Allah disse: “Fate il pasto (suhûr) che si consuma prima del digiuno: e invero nel suhûr c’è Benedizione (baraka).” «Non state però con loro quando siete in ritiro nelle moschee», cioè, quando state facendo il ritiro in moschea, o in altri luoghi, non accostatevi alle donne. Come ricorda Ismâîl Haqqî, “quando è motivato da totale Dedizione (ikhlâs), il ritiro (itikâf) fa parte delle opere più nobili, dato che in esso il cuore si svuota da ciò che è altro da Allah. Dice Atâ: ‘Chi sta in ritiro è come un uomo che ha bisogno di un potente; allora si mette e sedere alla sua porta e dice -Non smetto di star qui sino a che il mio bisogno non sarà soddisfatto.- Analogamente, chi sta in ritiro si siede nella Casa di Allah e dice -Non smetto di star qui sino a che non vengo perdonato.-’ ” «E desiderate ciò che Allah ha scritto (kataba) per voi»: questa espressione indica come nel rapporto sessuale legittimo non vada perseguito esclusivamente il soddisfacimento del desiderio ordinariamente inteso, ciò che è compreso da molti commentatori in riferimento alla ricerca di una prole. Se una tale interpretazione non è priva di verità, è tuttavia certo che essa non esaurisce i modi in cui possono essere lette tali parole coraniche, dato che evidentemente se il senso fosse solamente questo, esso sarebbe stato espresso a chiare lettere, ciò che non è.
 

 
 
 
 
 

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