«Hai scoperto il Tao?», chiese Lao-tse, «L'ho cercato per 27 anni e non l'ho trovato» rispose Kong-tse; ed allora Lao-tse si limitò a dare al suo interlocutore questi pochi consigli: «Il saggio ama l'oscurità; egli non si affida al primo venuto; egli studia i tempi e le circostanze. Se il momento è propizio egli parla, se no tace. Colui che possiede un tesoro non lo mostra a tutti; così, chi è veramente saggio non rivela la saggezza a tutti. Ecco tutto quello che ho da dirti, traine profitto». Kong-tse, ritornando da questo incontro, diceva «Ho visto Lao-tse, rassomiglia ad un drago. E del drago io ignoro come possa essere trasportato dai venti e dalle nuvole e come possa elevarsi fino al cielo».
René Guénon: L’esoterismo islamico e il taoismo 1991, Arktos - Oggero Editore, 159 pagg., (in distribuzione) - € 18,05 - ISBN 9788870490428
Di tutte le dottrine tradizionali, la dottrina islamica è forse quella ove è più chiaramente marcata la distinzione fra due parti complementari, le quali si possono designare: exoterismo ed esoterismo. In base alla terminologia araba, esse sono: es-shariyah, letteralmente «la grande strada», comune a tutti, e el-haqîqah, la «verità» interiore, riservata all’élite; e questo, non in virtù di una decisione più o meno arbitraria, ma per la natura stessa delle cose, dal momento che non tutti possiedono le attitudini e le «qualificazioni» richieste per pervenire alla conoscenza della «verità». Per esprimere il carattere, rispettivamente, «esteriore» ed «interiore» di queste due parti della dottrina, le si paragona spesso alla «scorza» ed al «nocciolo» (el-qishr wa el-lobb), o anche alla circonferenza ed al suo centro. La shariyah comprende tutto ciò che il linguaggio occidentale indicherebbe come «religioso», ed in particolare la componente sociale e legislativa che, nell’Islam, è essenzialmente integrata nella religione; si potrebbe dire che la shariyah è innanzi tutto regola d’azione, mentre la haqîqah è conoscenza pura; sia chiaro, però, che è questa conoscenza a dare alla stessa shariyah il suo significato superiore e profondo e la sua vera ragion d’essere; di modo che, anche se non tutti coloro che partecipano alla tradizione ne sono coscienti, essa ne è il vero principio, come il centro lo è per la circonferenza. Ma non è tutto: si può dire che l’esoterismo comprende non solo la haqîqah, ma anche i mezzi atti a pervenire ad essa; e l’insieme di questi mezzi è designato col termine tarîqah, «via» o «sentiero» che conduce dalla shariyah verso la haqîqah. [...]
Riprendendo l’immagine simbolica della circonferenza, la tarîqah sarà allora rappresentata dal raggio, che conduce dalla circonferenza al centro; e si potrà subito osservare che ad ogni punto della circonferenza corrisponde un raggio, e tutti i raggi, che sono in moltitudine indefinita, conducono al centro. Si può dire che questi raggi sono altrettante turuq, adattate agli esseri che sono «situati» sui diversi punti della circonferenza, in base alla diversità delle loro nature individuali; è per questo che è detto che «le vie verso Dio sono numerose come le anime degli uomini» (et-turuqu ila ‘Llâhi Kanufûsi bani Adam); e così le «vie» sono molteplici e tanto più diverse fra loro per quanto le si consideri più in prossimità del loro punto di partenza sulla circonferenza, ma il loro fine è uno, poiché vi è un solo centro ed una sola verità. A stretto rigore, le differenze iniziali scompaiono con la scomparsa della stessa «individualità» (el-inniyah, da ana «io»), vale a dire, allorché si raggiungono gli stati superiori dell'essere e quando gli attributi (çifat) di el-abd, o della creatura, che sono propriamente solo delle limitazioni, spariscono (el-fanâ o l’«estinzione») per lasciar sussistere solo quelli di Allâh (el-baqâ o la «permanenza»), dal momento che l’essere, per la sua «personalità» o «essenza» (edh-dhât), si identifica con questi ultimi. L’esoterismo così considerato, comprendente ad un tempo tarîqah e haqîqah, in quanto mezzo e fine, è designato in arabo con il termine generale et-taçawwuf, che si può tradurre esattamente solo con «iniziazione»; e su questo punto ritorneremo in seguito. Gli Occidentali, per designare l’esoterismo islamico, hanno forgiato il termine «Sufismo» (mentre il termine taçawwuf può applicarsi ad ogni dottrina esoterica ed iniziatica, indipendentemente dalla forma tradizionale a cui essa appartiene); ma tale termine, oltre ad essere una denominazione del tutto convenzionale, presenta un inconveniente alquanto spiacevole: la sua desinenza (ismo) evoca quasi inevitabilmente l’idea di una dottrina propria ad una particolare scuola, mentre esso in realtà non ha nulla di tutto ciò, e le varie scuole, qui, non sono altro che delle turuq, vale a dire, insomma, dei metodi diversi senza alcuna sostanziale differenza dottrinale, poiché «la dottrina dell’Unità è unica» (et-tawhîdu wâhidun).
Per quanto riguarda la derivazione del termine «sufismo», essa si collega evidentemente alla parola çufi ; ma, a questo proposito, innanzi tutto è opportuno osservare che nessuno potrà mai dirsi çufi se non per pura ignoranza, poiché, così facendo, egli prova solo che in realtà non lo è, dal momento che tale qualità è necessariamente un «segreto» (sirr) fra il vero çufi e Allâh; ci si può solo definire mutaçawwuf, termine che si applica a chiunque sia entrato in una «via» iniziatica, a qualunque grado foss’egli pervenuto; invece çufi, nel senso vero della parola, è solo colui che ha raggiunto il grado supremo. A questa stessa parola, çufi, si è preteso di attribuire delle origini molto diverse, ma tale questione, affrontata dal punto di vista dal quale abitualmente ci si pone, è senza dubbio insolubile: noi diremmo volentieri che tale parola ha troppe presunte etimologie, tutte più o meno plausibili, per poterne veramente avere una; in realtà, bisogna vedervi piuttosto una denominazione puramente simbolica, una sorta di «cifra», se si vuole, la quale, come tale, non ha bisogno di avere una derivazione linguistica propriamente detta; e un tale caso, d’altronde, non è certo unico, se ne potrebbero trovare di simili presso altre tradizioni. Quanto alle cosiddette etimologie, in fondo non sono che delle assimilazioni fonetiche, e queste, del resto, in base alle leggi di un certo simbolismo, corrispondono effettivamente ad alcune relazioni esistenti fra idee diverse, le quali, in tal modo, finiscono col raggrupparsi, più o meno accessoriamente, attorno alla parola in questione; ma in questo caso, data la caratteristica della lingua araba (caratteristica che, peraltro, ha in comune con la lingua ebraica), il senso primario e fondamentale dev’essere dato dai numeri; e infatti, particolarmente degno di nota è il fatto che la somma dei valori numerici delle lettere che formano la parola çufi dà lo stesso valore dell’espressione El-Hekmah el-ilahiyah, cioè la «Saggezza divina». Il vero çufi è dunque colui che possiede questa Saggezza o, in altri termini, egli è el-ârif bi’ Llâh, cioè «colui che conosce per mezzo di Dio», poiché Egli non può essere conosciuto che per mezzo di Se stesso; ed è proprio questo il grado supremo e «totale» nella conoscenza della haqîqah.
Da quanto detto fin qui possiamo trarre alcune importanti conseguenze: innanzi tutto il «sufismo» non è affatto qualcosa di «sovrapposto» alla dottrina islamica, qualcosa che sarebbe venuto ad aggiungersi ad essa in un secondo tempo e dal di fuori, ma, al contrario, esso è una parte essenziale di detta dottrina, poiché senza di esso questa sarebbe palesemente incompleta, e incompleta dall’alto, vale a dire in relazione al suo stesso principio. D’altronde, la supposizione del tutto gratuita di un’origine estranea, greca, persiana o indiana, è contraddetta formalmente dal fatto che i mezzi di espressione propri all’esoterismo islamico, sono strettamente legati alla stessa costituzione della lingua araba; e se vi sono, incontestabilmente, delle similitudini con altre dottrine dello stesso ordine esistenti altrove, esse si spiegano in modo del tutto naturale e senza bisogno di ricorrere a degli ipotetici «imprestiti», poiché, dal momento che la verità è una, tutte le dottrine tradizionali sono necessariamente identiche nella loro essenza, qualunque sia la diversità delle forme con le quali esse si rivestono. D’altronde, in ordine alla questione delle origini, poco importa che la parola çufi ed i suoi derivati (taçawwuf, mutaçawwuf) siano esistiti nella lingua fin dall’inizio o che siano comparsi in un'epoca più o meno tardiva, cosa questa che è oggetto di grandi disquisizioni fra gli storici; la cosa di cui si tratta può benissimo essere esistita ancor prima della parola che la designa: o con un altro nome o perché allora non si sentiva il bisogno di dargliene uno. In ogni caso, e questo dovrebbe bastare a por fine alla questione, per chiunque non la consideri semplicemente dall’«esterno», la tradizione indica espressamente che l’esoterismo, al pari dell’exoterismo, deriva direttamente dallo stesso insegnamento del Profeta, ed in effetti ogni tarîqah autentica e regolare possiede una silsilah, o «catena» di trasmissione iniziatica, che in definitiva risale sempre fino a Lui, attraverso un numero più o meno grande di intermediari. Anche se in un secondo tempo certe turuq hanno effettivamente «preso in prestito», e sarebbe meglio dire «adattato», alcuni elementi marginali dei loro metodi particolari (quantunque anche qui le similitudini possano benissimo spiegarsi con il fatto di possedere le medesime conoscenze, in particolare per quanto concerne la «scienza del ritmo» nelle sue diverse ramificazioni), ciò ha un’importanza del tutto secondaria e non intacca per nulla l’essenziale.
La verità è che il «sufismo» è altrettanto arabo quanto il Corano ed è in quest’ultimo che ha i suoi diretti principi; ma per poter riconoscere tali principi occorre che il Corano venga compreso ed interpretato secondo le haqâiq che ne costituiscono il senso profondo, e non semplicemente secondo i procedimenti linguistici, logici e teologici degli ulamâ ez-zâhir (letteralmente, «studiosi dall’esterno»), o dottori della shariyah, la cui competenza si estende solo al dominio exoterico. In effetti si tratta di due dominî nettamente diversi, ed è per questo che non può mai esserci fra loro né contraddizione né vero conflitto; d’altronde, è evidente che in nessun modo si potrebbe contrapporre l’exoterismo all’esoterismo, poiché quest’ultimo, invece, pone la sua base ed il suo punto d’appoggio nel primo, ed entrambi sono in realtà solo i due aspetti o le due facce di una sola ed identica dottrina. Dobbiamo poi far notare che, in contrasto con una opinione troppo diffusa attualmente fra gli Occidentali, l’esoterismo islamico non ha niente in comune col «misticismo»; e, sulla base di quanto abbiamo esposto fin qui, le ragioni sono facili da comprendere. Innanzi tutto, il misticismo sembra essere, in realtà, qualcosa del tutto proprio al Cristianesimo, ed è solo per delle erronee assimilazioni che si può pretendere di trovarne altrove degli equivalenti più o meno esatti; alcune rassomiglianze esteriori, nell'impiego di certe espressioni, sono, senza dubbio, all’origine di un tale errore, ma esse non possono in alcun modo giustificarlo al cospetto delle differenze relative all'essenziale. Il misticismo appartiene interamente, per definizione stessa, al dominio religioso, dunque rientra puramente e semplicemente nell’exoterismo; inoltre, lo scopo a cui esso tende è sicuramente lungi dall’essere dell’ordine della pura conoscenza. D’altra parte, il mistico, avendo un'attitudine «passiva» e limitandosi quindi a ricevere ciò che gli perviene in qualche modo, spontaneamente e senza alcuna iniziativa da parte sua, non potrebbe avere alcun metodo; non è possibile dunque parlare di tarîqah mistica, ed una cosa del genere è perfino inconcepibile, poiché è basilarmente contraddittoria. Per di più, il mistico, essendo sempre un isolato in forza dello stesso carattere «passivo» della sua «realizzazione», non ha né sheikh o «maestro spirituale» (che, beninteso, non ha assolutamente niente in comune col «direttore di coscienza» nel senso religioso), né silsilah o «catena», per mezzo della quale gli verrebbe trasmessa un’«influenza spirituale» (usiamo questa espressione per rendere il più esattamente possibile il significato del termine arabo barakah), anche perché il secondo di questi elementi non è che la conseguenza immediata del primo. La trasmissione regolare dell’«influenza spirituale» è ciò che caratterizza essenzialmente l’«iniziazione» ed anche ciò che propriamente la costituisce, ed è per questo che abbiamo impiegato questo termine per tradurre taçawwuf; l’esoterismo islamico, come del resto ogni vero esoterismo, è «iniziatico» e non può essere altro; e senza neanche entrare nel merito della differenza degli scopi, la quale risulta d'altronde dalla differenza fra i due domini ai quali si riferiscono, possiamo dire che la «via mistica» e la «via iniziatica» sono radicalmente incompatibili in forza dei loro rispettivi caratteri.
A questo punto potrebbe anche essere superfluo aggiungere che in arabo non esiste alcuna parola con la quale si possa tradurre, anche approssimativamente, il termine «misticismo», tanto l’idea da esso espressa è qualcosa di completamente estraneo alla tradizione islamica. La dottrina iniziatica è, nella sua essenza, puramente metafisica, nel senso vero ed originario del termine; ma, nell’Islam come nelle altre forme tradizionali, essa comporta anche, a titolo di applicazione più o meno diretta nei confronti dei diversi ambiti contingenti, tutto un insieme complesso di «scienze tradizionali»; queste scienze sono, infatti, come collegate ai principi metafisici da cui derivano e dipendono interamente, e traggono da questo collegamento e dalle «trasposizioni» che esso permette, tutto il loro valore reale; ed è per questo che esse sono parte integrante della stessa dottrina, anche se ad un livello secondario e subordinato, e non ne sono affatto delle aggiunte più o meno artificiali e superflue. È questa una cosa che sembra particolarmente difficile da comprendere per gli Occidentali, senza dubbio perché essi non possono trovare presso di loro alcun elemento di paragone a riguardo; tuttavia, in Occidente sono esistite delle scienze analoghe, nell’antichità e nel Medioevo, ma si tratta di cose interamente dimenticate dai moderni, i quali ne ignorano la vera natura e spesso non ne concepiscono neanche l’esistenza; in particolare, coloro che confondono l’esoterismo col misticismo non conoscono la funzione e il posto occupato da queste scienze che, evidentemente, rappresentano delle conoscenze quanto mai distanti da ciò che è alla base delle preoccupazioni di un mistico; pertanto, la loro incorporazione nel «sufismo» costituisce per costoro un indecifrabile enigma. Tale è la scienza dei numeri e delle lettere, di cui abbiamo indicato prima un esempio con l'interpretazione del termine çufi, e di cui si trova una forma simile solo nella qabbalah ebraica, in forza della stessa affinità esistente fra le lingue che servono all’espressione di queste due tradizioni; e anzi solo tale scienza permette la comprensione profonda di queste lingue. Lo stesso dicasi per le diverse scienze «cosmologiche» che in parte rientrano in ciò che viene indicato col nome di «ermetismo», e a questo proposito occorre notare che l’alchimia è intesa in senso materiale solo dagli ignoranti, per i quali il simbolismo è lettera morta, quegli stessi che i veri alchimisti del Medioevo occidentale bollavano con i nomignoli di «soffiatori» e di «bruciatori di carbone», i quali furono gli autentici precursori della chimica moderna, per quanto poco lusinghiera possa essere per quest’ultima una tale origine. Del pari, l’astrologia, altra scienza cosmologica, è in realtà ben altra cosa che l’«arte divinatoria» o la «scienza congetturale» che vogliono unicamente vedervi i moderni; essa si riferisce innanzi tutto alla conoscenza delle «leggi cicliche», conoscenza che giuoca un ruolo importante in tutte le dottrine tradizionali. D’altronde, fra tutte queste scienze vi è una certa corrispondenza, e per il fatto che derivano essenzialmente dagli stessi principi, sono, da un certo punto di vista, come delle differenti rappresentazioni di una sola e medesima cosa: di modo che l’astrologia, l’alchimia e la stessa scienza delle lettere, non fanno che tradurre, per così dire, le stesse verità nei linguaggi propri ai differenti ordini della realtà, i quali sono uniti fra loro dalla legge di analogia universale, fondamento di ogni corrispondenza simbolica; e in virtù di questa stessa analogia, queste scienze, tramite un’appropriata trasposizione, trovano la loro applicazione tanto nel dominio del «microcosmo» che in quello del «macrocosmo», poiché il processo iniziatico riproduce, in tutte le sue fasi, lo stesso processo cosmologico.
D'altronde, per rendersi conto appieno di tutte queste correlazioni, occorre essere pervenuti ad un grado molto elevato della gerarchia iniziatica, grado che viene chiamato dello «zolfo rosso» (el-kebrît el-ahmar); e colui che ha raggiunto questo grado e che, in forza della scienza chiamata simiâ (che non va confusa con kimiâ), effettua determinate mutazioni sulle lettere e sui numeri, può agire sugli esseri e sulle cose che a questi corrispondono nell'ordine cosmico. Il jafr, che secondo la tradizione deve la sua origine allo stesso Seyidnâ Alì, è una applicazione di queste scienze alla previsione degli avvenimenti futuri, e questa applicazione, in cui intervengono naturalmente le «leggi cicliche» di cui dicevamo prima, presenta, per chi sa comprenderla ed interpretarla (poiché si tratta come di una sorta di «criptografia», la quale peraltro non può destare più meraviglia di quanto accada con la notazione algebrica), tutto il rigore di una scienza esatta e matematica. Si potrebbero citare ben altre «scienze tradizionali» e alcune di esse apparirebbero forse ancora più strane agli occhi di chi non è abituato a cose del genere, ma è meglio contenersi, tanto più che finiremmo con l'andare oltre l'argomento del presente studio, per il quale dobbiamo necessariamente limitarci alle linee generali. Per finire dobbiamo aggiungere un 'ultima osservazione, la cui importanza è determinante per poter comprendere il vero carattere della dottrina iniziatica: per essa non si tratta affatto di «erudizione», e non potrebbe essere appresa in alcun modo per mezzo della lettura di libri, come accade per le conoscenze ordinarie e «profane». Perfino gli scritti dei più grandi maestri possono solo servire da «supporto» per la meditazione; non si diventa certo mutaçawwuf per il solo fatto di averli letti, ed essi, d'altronde, restano spesso incomprensibili agli occhi di coloro che non sono «qualificati». In effetti, innanzi tutto occorre possedere alcune disposizioni o attitudini innate, che non potrebbero essere sostituite da nessuno sforzo; poi occorre il collegamento ad una silsilah regolare, poiché la trasmissione dell'«influenza spirituale», che si ottiene tramite un tale collegamento, è, come abbiamo già detto, la condizione essenziale, senza la quale non vi è affatto iniziazione, foss’anche al grado più elementare. Questa trasmissione, che viene acquisita una volta per tutte, dev’essere il punto di partenza di un lavoro puramente interiore, per il quale tutti i mezzi esterni possono solo servire come degli aiuti e degli appoggi; d’altronde, anch’essi sono necessari, dal momento che bisogna tener conto della natura dell’essere umano così come esso è di fatto; ed è solo tramite questo lavoro interiore che l’essere si eleverà di grado in grado, se ne è capace, fino al vertice della gerarchia iniziatica, fino alla «Identità suprema», stato assolutamente permanente e incondizionato, al di là delle limitazioni proprie ad ogni esistenza contingente e transitoria: è questo lo stato del vero çufi. (Tratto dal Capitolo I - L’esoterismo islamico)
INDICE GENERALE - Prefazione di Roger Maridort. I - L'esoterismo islamico. II - La scorza e il nocciolo (El-Qishr wa'l-Lobb). III - Et-Tawhid. IV - El-Faqr. V - Er-Rûh. VI - Nota sull'angelologia dell'alfabeto arabo. VII - La chirologia nell'esoterismo islamico. VIII - Influenza della civiltà islamica in Occidente. IX - Creazione e manifestazione. X - Taoismo e Confucianesimo. Appendice. Recensioni. Sull'esoterismo islamico. Sul Taoismo.