La lettera "nun", nell'alfabeto arabo come in quello ebraico, occupa il quattordicesimo posto e ha il valore numerico 50; ma, nell'alfabeto arabo, tale posizione è degna di nota anche per un'altra ragione, cioè perché conclude la prima metà dell'alfabeto, in quanto il numero totale delle sue lettere è 28, invece delle 22 dell'alfabeto ebraico. Inoltre, nelle sue corrispondenze simboliche nell'ambito della tradizione islamica, questa lettera rappresenta soprattutto El-Hut, la balena, il che d'altronde si accorda con il senso originario della stessa parola "nun" che la designa, e che significa pure «pesce»; ed è per via di questo significato che Seyidna Yunus (il profeta Giona) viene chiamato "Dhun-Nun». Tutto ciò è naturalmente in relazione con il simbolismo generale del pesce, e più specificamente con alcuni aspetti da noi esaminati nel precedente studio, e in particolare, come vedremo, quello del «pesce-salvatore», sia esso il Matsya-avatara della tradizione indù o l'Ichthus dei primi cristiani.
René Guénon: Simboli della Scienza sacra Adelphi Edizioni, Milano, 2010, 395 pagg., (in distribuzione) - € 15,20 - ISBN 9788845907647
Introduzione di Michel Vâlsan Il presente volume riunisce tutti gli articoli di René Guénon che trattano in special modo di simboli tradizionali, e non ripresi o, almeno, non utilizzati completamente in ulteriori opere. Tali testi, allo stesso modo della maggior parte di quelli che restano ancora da raggruppare intorno a qualche altra idea d’insieme, furono pubblicati fra il 1925 ed il 1950 [1] in alcuni periodici, e principalmente in Regnabit ed in Le Voile d’Isis, divenuto, a partire dal 1936, Etudes Traditionnelles. La forma un po' particolare degli articoli apparsi nella prima delle pubblicazioni sopra citate esige alcune spiegazioni che saranno anche utili per la bibliografia degli scritti di René Guénon. Regnabit era una rivista mensile cattolica, fondata nel 1921 dal Reverendo Padre Félix Anizan, degli Oblati di Maria Immacolata; essa recava inizialmente, come sottotitolo, la dicitura: «Rivista universale del Sacro-Cuore», ed aveva dato vita ad una «Società dell’Irraggiamento intellettuale del Sacro Cuore», che era «patrocinata da quindici tra cardinali, arcivescovi o vescovi», ed il cui segretario generale era lo stesso Anizan. Fra i suoi collaboratori regolari figurava Louis Charbonneau-Lassay, incisore ed araldista, i cui lavori sull’iconografia e sull’emblematica cristiane dovevano apparire presto come uno dei più importanti contributi alla rivivificazione contemporanea dell’intellettualità tradizionale in Occidente [2]. È portato da quest’ultimo che René Guénon cominciò a collaborarvi nel 1925, ad una data pertanto in cui aveva già pubblicato l’Introduction générale à l’étude des doctrines hindoues, Le Théosofisme, L’erreur spirite, Orient et Occident, L’Homme et son devenir selon le Vêdânta e L’Ésotérisme de Dante, lavori che avevano sviluppato i temi fondamentali della sua opera ispirata all’insegnamento orientale e che avevano nettamente situata la sua posizione intellettuale dal carattere apertamente universale. Cionondimeno, nel particolarissimo quadro di Regnabit, René Guénon doveva porsi, come lui stesso dirà più tardi, «più specialmente nella ‘prospettiva’ della tradizione cristiana, con l’intenzione di mostrarne il perfetto accordo con le altre forme della tradizione universale [3]».[...]
La sua collaborazione cominciò nel numero d’Aprile-Settembre 1925, con un articolo intitolato Le Sacré-Coeur et la Légende du Saint Graal e quindi, a partire dal numero di Novembre, fornì regolarmente degli studi concernenti soprattutto il simbolismo del Cuore e quello del Centro del Mondo ossia, in definitiva, i due aspetti micro e macro-cosmico del centro dell’essere. Le idee tanto poco usuali dell’insegnamento di René Guénon trovarono, comunque, un sicuro favore in Padre Anizan [4] e preziosi punti d’appoggio documentari nelle ricerche di Louis Charbonneau-Lassay: questi due autori si rifacevano volentieri, quand’era il caso, all’autorità intellettuale ed al sapere di René Guénon [5]. In tal modo, subito dopo questi inizi su Regnabit, ci si accorge che la rivista tenta di orientarsi in un senso deliberatamente più intellettuale, manifestando financo una certa apertura nei confronti dell’idea dell’universalità tradizionale; il tutto, naturalmente, circondato da molte precauzioni dottrinali e terminologiche. Agli inizi del 1926, la «Società dell’Irraggiamento intellettuale del Sacro Cuore» seguiva, a sua volta, il nuovo orientamento e si riorganizzò ai fini di meglio corrispondere al suo scopo che si precisava come un lavoro d’ordine dottrinale, «nell’ordine del pensiero». Un Appello rivolto agli Scrittori ed agli Artisti, redatto dal Padre Anizan ma firmato, fra gli altri, da Louis Charbonneau-Lassay e René Guénon stesso, dichiarava (è l’autore stesso del testo a sottolineare): «Mentre nel mondo cattolico, a causa d’un’inverosimile e troppo reale aberrazione, tutto quel che è Sacro Cuore è di per sé stesso catalogato come semplice devozione, noi siamo persuasi, da parte nostra, che il Sacro Cuore apporta al pensiero umano la parola di salvezza, la parola che dobbiamo instancabilmente ridire, l’ultima parola del Vangelo... Della Rivelazione del Sacro Cuore - noi non la datiamo affatto nel XVII secolo - abbiamo un’idea assai vasta, che crediamo essere più che esatta.
Dopo Bossuet, che vedeva nel Cuore del Cristo ‘il riassunto di tutti i misteri del cristianesimo, mistero di carità la cui origine sta nel cuore’, pensiamo che la Rivelazione del Sacro Cuore è tutta l’idea cristiana rivelata nel suo punto essenziale e nell’aspetto che è più capace di afferrare il pensiero umano. Lungi da noi l’opinione, tanto erronea quanto diffusa, che la Rivelazione del Sacro Cuore sia unicamente il principio d’una devozione. Certo, la devozione al Sacro-Cuore è cosa bellissima e, ben compresa, essa si deve irradiare in tutta la vita cristiana. Ma la Rivelazione del Sacro Cuore oltrepassa, e di molto, il quadro d’una devozione, per quanto bella e raggiante la si possa supporre. Direttamente e per sua natura, questa rivelazione si rivolge allo spirito, per metterlo, ovvero rimetterlo, nel senso del Vangelo. Dato che il simbolo è, essenzialmente, un aiuto al pensiero - poiché lo fissa e lo provoca -, è al pensiero che si rivolge il Cristo, mostrandosi in un simbolo reale che, financo ai popoli antichi, è apparso come una fonte d’ispirazione, come un’emittente di luce. Ricordo del suo amore e ricordo del suo amore nel simbolo del suo Cuore, ecco cos’è l’ordine dello spirito; ecco che ci riporta direttamente ‘sulle tracce del Vangelo’. E da questo grado interpretativo, riteniamo che la Rivelazione del Sacro Cuore sarà sempre d’un’importanza capitale... Non pensiamo affatto che il Sacro Cuore sia la salvezza del mondo unicamente per via della devozione della quale Esso è fatto oggetto. Il male è d’un’altra essenza. È il pensiero stesso che si scristianizza. Portando la nostra affermazione nella zona del pensiero, ci rendiamo conto di situarlo nel punto vitale...» (numero di Gennaio 1926). Regnabit, per altro, era diventato l’organo della Società alla quale aveva dato vita e, a partire dal numero di Marzo 1926, la pubblicazione riportava effettivamente nel sottotitolo: «Rivista universale del Sacro Cuore ed organo della Società dell’Irraggiamento intellettuale del Sacro Cuore». D’altra parte, certe reazioni cominciavano a manifestarsi andando ad interessare, fra l’altro, curiosamente, l’oggetto stesso della rivista e dell’Associazione, più precisamente andando contro l’idea d’una Rivelazione del Sacro Cuore. I diversi collaboratori dovettero allora giustificare, in modi differenti, ma instancabilmente, il loro scopo ed il loro programma [6].
Per quanto riguarda René Guénon che, nei suoi studi, citava spesso i dati delle altre forme tradizionali d’Occidente e d’Oriente e principalmente dell’Induismo, la sua posizione appariva, il che è facile da comprendere nelle sue condizioni, come la più critica. E ciò d’altronde spiega il fatto, nonostante tutto sorprendente, che egli non faceva mai riferimento alle sue opere dedicate alle dottrine indù [7] nonostante che, in modo generale, è in queste dottrine che il suo insegnamento aveva soprattutto il suo punto d’appoggio [8]. Essendo allora portato a spiegare egli stesso il suo metodo, lo fece nei seguenti termini, in un post-scriptum al suo articolo del Febbraio 1927 (A propos du Poisson che citiamo qui in extenso, visto il suo interesse, anche da altri punti di vista, e tanto più che questo testo difficilmente troverebbe altrove un luogo appropriato [9]: «Qualcuno forse si meraviglierà, sia a proposito delle considerazioni che abbiamo appena esposte, sia a proposito di quelle che abbiamo già espresso in altri articoli o che faremo in seguito, del posto preponderante (per quanto assolutamente non esclusivo, sia ben chiaro) che noi riserviamo, fra le differenti tradizioni antiche, a quella dell’India; e questa meraviglia, in definitiva, sarebbe assai comprensibile, data la completa ignoranza che si riscontra generalmente, nel mondo occidentale, nei confronti dell’autentico significato delle dottrine in questione. Potremmo limitarci a far osservare che, avendo avuto l’occasione di studiare più particolarmente le dottrine indù, possiamo legittimamente prenderle come termine di paragone; crediamo però sia preferibile dichiarare chiaramente che vi sono, in ciò, altre ragioni più profonde e d’una portata del tutto generale. A coloro che sarebbero tentati di dubitarne, consiglieremmo vivamente di leggere l’interessantissimo libro del Reverendo Padre William Wallace, della Società di Gesù, intitolato De l’Évangélisme au Catholicisme par la route des Indes (traduzione francese di Padre Humblet, anch’egli della Società di Gesù; libreria Albert Dewit, Bruxelles, 1921), che costituisce a questo riguardo una testimonianza di grande valore. È un’autobiografia dell’autore, il quale, essendosi recato in India come missionario anglicano, fu convertito al cattolicesimo dallo studio diretto delle dottrine indù; e, nelle considerazioni che ne fornisce, dà prova d’una comprensione di tali dottrine che, senza assolutamente essere completa su tutti i punti, va incomparabilmente più lontano di tutto quel che abbiamo trovato in altre opere occidentali, ivi comprese quelle degli ‘specialisti’. Ebbene, Padre Wallace dichiara formalmente, fra le altre cose, che “il Sanâtana Dharma dei saggi indù (il che si potrebbe rendere molto esattamente con Lex perennis, definendo il fondo immutabile della dottrina) procede esattamente dal medesimo principio della religione cristiana”, che “l’uno e l’altro hanno in vista lo stesso scopo ed offrono gli stessi mezzi essenziali per ottenerlo” (pag. 218 della traduzione francese), che “Gesù Cristo appare evidentemente essere tanto il Consumatore del Sanâtana Dharma degli Indù, questo sacrificio ai piedi del Supremo, quanto il Consumatore della religione tipica e profetica degli Ebrei e della Legge di Mosè [10]” (pag. 217) e che la dottrina indù è “il pedagogo naturale che conduce a Cristo” (pag. 142). Questo non giustifica ampiamente l’importanza che attribuiamo qui a questa tradizione, la cui profonda armonia con il cristianesimo non potrebbe sfuggire a chiunque la studi, come ha fatto il Padre Wallace, senza idee preconcette? Ci riterremmo felici se riuscissimo a far sentire un po' quest’armonia sui punti che abbiamo avuto occasione di trattare, ed a far comprendere allo stesso tempo che la ragione di ciò deve essere ricercata nel legame molto diretto che unisce la dottrina indù alla grande Tradizione primordiale».
Comunque, i lavori sul simbolo del Sacro Cuore, che era il tema proprio della rivista, interessavano la questione del simbolismo cristiano ed universale. Padre Anizan faceva un’inchiesta molto approfondita, specialmente nei testi del Dottore per eccellenza della Chiesa, San Tommaso d’Aquino, onde mostrare la ragione e l’importanza degli studi del simbolismo sacro e di puntellarvi dottrinalmente l’attività di Regnabit e della «Società dell’Irraggiamento intellettuale del Sacro Cuore». Egli stimava anche opportuno legittimare i lavori dei suoi collaboratori più minacciati; alla conclusione di uno dei suoi studi, nel Marzo 1927, scriveva: «La natura stessa della rivelazione del Sacro Cuore e l’esempio di San Tommaso d’Aquino danno ragione ai nostri studi - che portano lontano - sul simbolismo. Alla luce dei simboli primitivi, il Sig. René Guénon ci fa seguire il filo delle verità tradizionali che ci collegano nella loro origine al Verbo rivelatore e, nel loro termine, al Verbo incarnato consumatore. Gioielliere del simbolismo del Cristo, il Sig. Louis Charbonneau-Lassay dà ai diamanti che taglia riflessi tali che i nostri occhi non potranno più guardare gli esseri che ci circondano senza percepire in essi la chiarezza del Verbo. Perché i loro sforzi? Semplice gioco d’alte intelligenze? Nient’affatto. Piuttosto, prima di tutto bisogno di far irradiare, in una bellissima forma, insegnamenti magnifici (nel senso preciso di far della grandezza, magnum facere); e poi, desiderio di riabituare un po' il pensiero umano alle luci benefiche del simbolismo, onde meglio adattare le anime a questa manifestazione del Sacro Cuore che è il simbolico ricordo dell’Amore vivente, sintesi di tutte le verità.» Cionondimeno, René Guénon fu presto costretto a cessare la sua collaborazione, cosa che spiegherà più tardi indicando la causa nell’«ostilità di certi ambienti neo-scolastici» [11]. Il suo ultimo articolo, avente per oggetto il Centre du Monde dans les traditions extrême-orientales, risale al Maggio 1927 [12]. Comunque, diciannove suoi testi erano stati pubblicati su Regnabit, e di essi diamo la lista in ordine cronologico nell’Annesso I del presente volume. Inoltre, altri due articoli redatti per la stessa pubblicazione restarono a lungo inediti e non videro la luce che oltre una ventina d’anni più tardi (e tutto sommato nella loro forma iniziale, com’è stato indicato dall’autore) su Études Traditionnelles, numeri di Gennaio-Febbraio 1949 (Le grain de sénevé) e di Marzo-Aprile dello stesso anno (L’Éther dans le coeur) donde li abbiamo estratti per farne, rispettivamente, i capitoli LXXIII e LXXIV. Di questi articoli, che in definitiva trattano tutti dei simboli e della questione del simbolismo tradizionale, alcuni furono ripresi dall’autore in merito al loro tema o anche nel loro stesso testo in una prospettiva svincolata dalle contingenze originarie, ed incorporati, in modi diversi, in opere assai varie in quanto a soggetto, e soprattutto in Le Roi du Monde (1927), in Le Symbolisme de la Croix (1931) e in Aperçus sur l’Initiation (1946). Altri furono riscritti come articoli e pubblicati, il più delle volte con dei titoli nuovi, su Le Voile d’Isis - Études Traditionnelles, donde li traiamo qui nella loro nuova forma. È così che, alla morte di René Guénon, solo alcuni degli studi scritti per Regnabit conservavano ancora un interesse proprio e potevano essere inclusi nella loro forma iniziale in una raccolta d’insieme sul simbolismo. Fra questi testi stessi, tuttavia, alcuni erano stati modificati in occasione di parziali riprese, varie come forma e come importanza, fatte nel corso di studi - libri od articoli - aventi altri soggetti; e se abbiamo deciso di riprodurli qui quasi integralmente, è per delle ragioni che non sembrano trascurabili.
Tanto per cominciare, se le parti rimaste intatte fossero state avulse dal loro contesto e pubblicate separatamente avrebbero perso del loro interesse; d’altra parte, i loro temi ed i loro riferimenti sono spesso sviluppati all’interno di esposizioni che conferiscono loro un certo valore circostanziale supplementare, in ragione di quella prospettiva specialmente cristiana che abbiamo menzionato. Infine, nella composizione d’una raccolta nella quale cerchiamo d’organizzare materie delle quali non possiamo disporre con la libertà dell’autore, ci è parso essere preferibile corroborare la configurazione dell’insieme con tutti i testi che, non realmente esauriti quanto alla loro sostanza, proprio qui potevano far meglio risaltare tanto i punti caratteristici che vi sono trattati o abbordati quanto l’ampiezza dei lavori di René Guénon sul dominio dei simboli. Tuttavia per questi come per gli altri testi abbiamo riorganizzato e completato i riferimenti tenendo conto sia del luogo assegnato a ciascuno d’essi all’interno del presente volume, sia della sua collocazione in rapporto al resto dell’opera. Inoltre, della materia degli articoli praticamente esauriti dalle ulteriori riprese, abbiamo potuto raccogliere qualche passaggio il cui interesse non è andato perso, ed abbiamo provveduto ad inserirli in delle note poste in corrispondenza di brani appropriati. Si troverà d’altronde nell’Annesso I di questo volume il dettaglio completo di questo reimpiego, qui ed altrove, ad opera dell’autore o nostra, di tutta la serie dei testi provenienti da Regnabit. Qui, diremo soltanto che, dell’insieme di questi diciannove testi, ne abbiamo potuto riprendere infine sei quasi nella loro interezza [13]. A questo gruppo, si possono aggiungere i due articoli succitati, destinati originariamente a Regnabit, ma che non videro la luce che su Études Traditionnelles. Gli altri studi riuniti in questo volume - tranne Sayfu-l-Islâm che apparve nei Cahiers du Sud - furono tutti pubblicati su Le Voile d’Isis - Études Traditionnelles, nel corso d’una lunga collaborazione la quale, sporadica all’inizio, divenne a partire dal 1929 regolare e d’una grande ampiezza e varietà (esposizioni dottrinarie, studi sul simbolismo e sulla storia tradizionale, recensioni di libri e riviste), e durò fino alla morte dell’autore il che, tenuto conto dell’interruzione causata dagli anni della guerra, corrisponde a quasi vent’anni di effettiva pubblicazione [14]. Si troverà la lista di questi studi nell’Annesso I del presente volume. Le Voile d’Isis, che all’inizio di questa collaborazione si qualificava «rivista mensile di Alta Scienza» e si dava quale scopo «lo studio della Tradizione e dei diversi movimenti dello spiritualismo antico e moderno», si trasformò progressivamente, sotto l’influenza di René Guénon e, a partire dal 1932, si presentò nel suo programma come «la sola rivista di lingua francese avente per oggetto lo studio delle dottrine tradizionali tanto orientali quanto occidentali, nonché delle scienze che ad esse si collegano»; lo stesso testo aggiungeva che «il suo programma abbracciava quindi le diverse forme che ha rivestito nel corso dei tempi quel ch’è s’è chiamato giustamente LA TRADIZIONE PERPETUA ED UNANIME, rivelata tanto dai dogmi e dai riti delle religioni ortodosse quanto dalla lingua universale dei simboli iniziatici» [15].
Nel quadro di Le Voile d’Isis, dopo un certo periodo d’adattamento, René Guénon poteva quindi esporre liberamente le sue tesi sull’universalità tradizionale, fare sempre più riferimento alle dottrine orientali, far affiorare, e durante un certo periodo perfino con qualche insistenza, i segni della sua integrazione personale all’Islâm, e trattare tutti i soggetti d’interesse tradizionale ed intellettuale con i mezzi che utilizzava nei suoi libri. Allorché si constata che il simbolismo iniziatico appare nel programma stesso di questa pubblicazione, si può dire che il lavoro di Guénon in materia di simbolismo aveva trovato una terra d’elezione. C’è da credere, d’altro canto, che il fatto di dover pubblicare regolarmente (sino a raggiungere una periodicità mensile) delle recensioni di libri e di riviste comportanti qualche dato tradizionale e, per di più, redigere dei brevi testi di cinque-sei pagine, favoriva particolarmente le osservazioni succinte sui simboli in quanto soggetti distinti, e questo nella misura di un’analisi adatta ad una documentazione periodica. L’aspetto documentario e financo intellettualmente pittoresco che presentavano i temi trattati in tal modo assicurava del resto agli scritti di Guénon su questo dominio, un’accoglienza assai più attenta e più ampia di quella ottenuta dalle sue esposizioni di pura dottrina o dalle sue considerazioni sui fatti tradizionali in generale. Il carattere di scienza esatta che emana normalmente dagli scritti di Guénon, vi si affermava in un modo ben più evidente: poggiando su qualcosa di sensibile, le definizioni sono più evidenti, le dimostrazioni più controllabili, le conclusioni più rigorose. E nonostante ciò, l’incomparabile arte intellettuale dello stile guénoniano assicurava più particolarmente, in questi testi, la presenza discreta di quell’elemento indefinibile di mistero, di maestà profonda delle realtà, di bellezza ineffabile dei significati e di perfezione indubitabile delle finalità che è propria dei dati della scienza vera, quella che egli stesso ha enunciato e designato giustamente, a proposito degli studi di simbolismo, quale «scienza sacra» [16]. Per questo gruppo di testi, si rileverà un punto il cui significato non è da trascurarsi. Nei riferimenti bibliografici e dottrinali dell’autore dopo il 1936, un nome ricorre spesso: quello del dottor Coomaraswamy, sapiente orientalista e allo stesso tempo eccellente conoscitore delle tradizioni occidentali, sul cui spirito l’opera dottrinaria di Guénon aveva esercitato un’influenza delle più felici [17]. Si potrebbe dire che, per quel che concerne gli studi di simbolismo, questione di cui ci occupiamo qui, fra i contemporanei della generazione di Guénon propriamente detta, ed in uno sforzo congiunto con il suo, Coomaraswamy doveva svolgere, nell’ambito dell’induismo e più generalmente dell’Oriente, quello che fu il lavoro di Louis Charbonneau-Lassay nell’ambito del cristianesimo. La presentazione in volume di questi testi che trattano soggetti assai vari e d’epoche differenti, esigeva un’idea organizzatrice dell’insieme, ed era naturalmente auspicabile aderire il più possibile a quelli che erano i progetti di René Guénon stesso in questa materia. Da questo punto di vista, alcune indicazioni di fondo risultano dal concatenamento logico, nonché dalla continuità di redazione, esistenti fra alcuni di questi studi i quali, per questo motivo, si presentano talvolta in piccole serie ordinate cronologicamente. Per di più, si può trovare anche, per mano dell’autore, l’enunciazione di qualche progetto di studio in rapporto con i testi già esistenti. È il caso, ad esempio, della menzione fatta all’inizio d’uno dei suoi articoli più vecchi, Quelques aspects du symbolisme de Janus (Le Voile d’Isis, Luglio 1929; vedere, qui, cap. XVIII), della sua intenzione di scrivere, «un giorno o l’altro», «tutto un volume» su Giano. Ed infatti, si può constatare che un numero piuttosto rilevante dei suoi articoli s’inscrive, in seguito, nella prospettiva d’un lavoro su di un tale tema generale; è poi notevole, a questo proposito, la serie continua che tratta della Montagna e della Caverna, nonché di qualche altro simbolo analogo, la quale, trasponendosi regolarmente nell’ordine macrocosmico coi riferimenti alla Caverna cosmica, sfocia nel simbolismo solstiziale di Giano e nelle sue corrispondenze con i due San Giovanni. D’altra parte, lo stesso gruppo di studi può esser messo facilmente in rapporto con gli articoli relativi al simbolismo costruttivo, che compaiono in alcune serie piuttosto omogenee e proseguono logicamente nel simbolismo assiale e di passaggio. In questa prospettiva originaria, l’ordine degli studi comprende più o meno direttamente la maggior parte dei testi esistenti e, per reazione, determinerà la posizione che deve esser assegnata al materiale restante nel quadro d’uno stesso sommario.
È così che si situeranno necessariamente all’inizio della raccolta gli articoli che contengono delle esposizioni sostanziali di dottrina simbolica generale, anche se queste si trovano all’interno di studi su simbolismi determinati, come ad esempio quello sul Graal, o quello sulla scrittura sacra. Un certo numero di altri articoli d’epoche assai diverse può, allora, organizzarsi benissimo attorno all’idea del Centro e della geografia sacra, di cui Guénon ha del resto spesso trattato, sotto qualche rapporto ed in qualche misura, nei suoi stessi libri [18], poiché tali nozioni sono simbolicamente legate ai temi del Centro supremo e della Tradizione primordiale, che dominano l’ordine tradizionale totale. Il gruppo cui fanno parte quegli articoli, a causa del carattere assai generale del loro simbolismo, può convenientemente esser posto dopo quello degli articoli ‘di testa’ e, d’altronde, introdurre in qualche modo il gruppo meno unitario degli studi aventi per oggetto la manifestazione ciclica, il quale a sua volta dovrà situarsi, come il gruppo di articoli riguardante le armi simboliche, prima delle serie riguardanti i simbolismi cosmologico, costruttivo ed assiale, che abbiamo già citato come formanti l’ossatura dell’insieme. Per contro, gli articoli che trattano specialmente del simbolismo del cuore e che appaiono come il risultato logico d’una trasposizione nell’ordine microcosmico ed iniziatico di tutti gli studi di simbolismo geografico, macrocosmico e costruttivo, dovranno prender posto alla fine del sommario, e dunque seguire gli articoli sul simbolismo assiale e di passaggio. In dettaglio, i riferimenti che rimandano i testi gli uni agli altri potranno talvolta disturbarne la successione lineare per materia ed imporre qualche intercalazione eterogenea; in ogni caso però l’autonomia relativa che assicura a questi studi il fatto d’essere ognuno consacrato ad un tema o ad un aspetto determinato d’un tema simbolico, non disturba mai il passaggio da un capitolo all’altro. Il solo inconveniente, da questo punto di vista, può venire dal fatto che l’autore ha qualche volta preannunciato o previsto un seguito che non è mai giunto: in tal caso, abbiamo ogni volta inserito una precisazione per fare il punto della situazione in oggetto. Così ci siamo comportati in linea generale per riuscire ad ordinare e quindi organizzare tutto il materiale secondo un sommario malgrado tutto coerente e conclusivo. È certo che il volume (costituito secondo questa formula o secondo qualsiasi altra che si sarebbe potuto trovare vantaggiosa) non può mancare di dare la sensazione che si tratta sempre d’una raccolta improvvisata e più o meno fittizia. L’autore aveva certamente qui materia prima testuale per almeno due opere sul simbolismo e, per tracciarne perfettamente i contorni ed esaurire i soggetti circoscritti, avrebbe dovuto scrivere un certo numero di capitoli nuovi e passaggi complementari, così da colmare le lacune e collegare in modo normale i differenti gruppi di articoli e, all’interno dei gruppi, i testi costitutivi. Avrebbe anche lasciato fuori un certo numero di pagine che, pur aggiungendo qualche passaggio «inedito» in rapporto ai suoi libri, ricordano troppo da vicino un certo numero di altre. Noi stessi, a rigore, avremmo potuto scegliere in tutto questo materiale ed organizzare a parte quegli studi che vertono su uno o due temi più generali e che non fanno affatto il doppio con gli altri testi incorporati nei libri costituiti dall’autore; ciò però avrebbe condannato ad una diversità del tutto inorganica e ad un legame troppo debole il resto dei testi, la cui edizione sarebbe divenuta assai difficoltosa. Del resto, il vantaggio d’un tale raggruppamento ‘a parte’ non è precluso al ricercatore neppure nella presentazione attuale, dato che i gruppi di articoli uniti in modo più o meno necessario vi figurano in maniera chiaramente distinta. In compenso, la pubblicazione in una raccolta unica di tutti gli articoli sul simbolismo che ci ha lasciato Guénon offre in un colpo solo la totalità d’un tesoro intellettuale d’un’eccezionale ricchezza, e di cui nessun elemento è indifferente. Inoltre, i temi simbolici che dominano quest’insieme, come i soggetti particolari che abbondano nel testo principale o nelle note, assumono dimensioni nuove nell’ordine dei significati, poiché il quadro generale entro il quale essi hanno trovato posto fa entrare, in qualche modo, i simboli menzionati in rapporti reciproci e nuovi, che possono essere rivelatori d’aspetti e di funzioni non ancora espressi; i rinvii, annotati dall’autore o aggiunti da noi stessi, non sono che un debole indizio delle possibilità esistenti in questa direzione.
L’interesse e l’attenzione del lettore saranno spesso ricompensati da qualche costatazione inattesa, o da qualche accezione nuova che risulterà nel corso di accostamenti di dati distinti, oppure di trasposizioni che sarà egli stesso ad effettuare. Si verificheranno anche, nel lettore, delle cose paragonabili a quelle che si sono verificate correntemente nell’autore, cioè che un qualsiasi dato simbolico, inizialmente secondario, si troverà improvvisamente chiarito da una nuova luce, liberato ed innalzato, di modo da poter finalmente raggiungere i significati più elevati. È questo il motivo per cui il titolo sotto il quale abbiamo iscritto l’insieme di questi lavori sul simbolismo si trova ad essere, si potrebbe dire, doppiamente giustificato: prima di tutto a causa dell’importanza dottrinaria ed istituzionale della maggior parte dei simboli studiati in base alla scelta tematica dell’autore; e poi, a causa dell’universalizzazione indefinita offerta anche a dei simboli di minore importanza pratica, che in tal modo possono godere, per via della tecnica delle analogie e delle trasposizioni, del grado di significato dei simboli fondamentali. Dobbiamo, ora, fornire qualche precisazione in più quanto alla forma esatta nella quale appaiono qui gli articoli raccolti. Per avvicinare il più possibile la forma a quella dei capitoli di un libro, abbiamo dovuto procedere alla sistemazione di certe frasi, soprattutto all’inizio od alla fine degli articoli, allorché recavano oramai inutilmente traccia delle loro contingenze iniziali. Ciononostante, abbiamo assicurato al lettore la possibilità di riconoscere in ogni momento, anche senza bisogno di andare a ricercare le indicazioni bibliografiche degli annessi e dell’indice, l’origine del testo che legge: la prima nota a piè di pagina di ogni capitolo indica il nome della rivista e la data di pubblicazione. D’altra parte, al fine di rafforzare la coesione fra i testi riuniti e per renderli più solidali con l’insieme dell’opera dell’autore, abbiamo posto, in delle nuove note, i riferimenti che ci sono parsi più utili. Le edizioni delle opere di Guénon essendosi moltiplicate e le impaginazioni variando con le edizioni, abbiamo uniformato, nella misura del possibile, i rinvii, ristabilendoli in rapporto ai soli capitoli delle opere citate, senza menzione della pagina. (Tutte le note o i passaggi di note aggiunte da noi si trovano inclusi fra parentesi quadre [...]). ________________________________________
[1] - Ricordiamo che René Guénon nacque a Blois il 15 Novembre 1886 e morì al Cairo il 7 Gennaio 1951. [2] - Louis Charbonneau-Lassay, nato nel 1871 a Loudun (Vienne), ove morì il 26 Dicembre 1946, poté riunire e far apparire in volume nel 1940, ancora vivente, una parte dei suoi lavori ne Le Bestiaire du Christ (Desclée de Brouwer); questa prima opera doveva essere seguita da un Vulnéraire, da un Floraire e da un Lapidaire du Christ. Non si sa quando, né a cura di chi, tutti questi tesori accumulati con un immenso lavoro e con la più pura delle passioni verranno alla luce. [3] - Vedi la nota iniziale del cap. LXXIII: Le grain de sénevé. Del resto, in uno dei suoi primi articoli di Regnabit (A propos de quelques symboles hermético-religieux, Dic. 1925, pag. 27), René Guénon concludeva così, a proposito di certi accostamenti che aveva fatto fra simboli cristiani e simboli di altre forme tradizionali: «Speriamo almeno, segnalando tutti questi accostamenti, di esser riusciti a far percepire in una certa misura l’intrinseca identità di tutte le tradizioni, prova manifesta della loro unità originaria, così come la perfetta conformità del cristianesimo con la tradizione primordiale della quale si trovano ovunque sparse vestigia». [4] - Introducendo il primo articolo di René Guénon, Padre Anizan già lo presentava nei seguenti termini: «Quella dei vecchi miti che hanno costituito la prima educazione dell’umanità è una ‘produzione di fronde’ altrettanto affascinante quanto fitta». «Bei soggetti della tradizione primitiva o belle gemme autonome dello spirito umano, queste leggende non esprimono esse forse, a modo loro, i tratti del Cristo che il primo uomo dovette annunciare ai suoi figli e che tutte le anime istintivamente attendono?». «Il Sig. René Guénon vede nel Graal - la misteriosa coppa d’uno dei nostri romanzi mistici - una figura del Cuore amante che il Signore diede un giorno a Santa Mectilde col simbolo d’una coppa d’oro dalla quale tutti i santi dovevano bere la bevanda di vita» (Le Livre de la grâce spéciale, 1a parte, cap. XXII, n° 41)». «Possano tutti i vecchi miti farci bere alla dottrina tradizionale ove gli amici di Regnabit vorranno ritrovare una pre-manifestazione del Cuore di Gesù». [5] - Segnalando certe insufficienze nei lavori degli storici contemporanei della devozione al Sacro Cuore, Louis Charbonneau-Lassay diceva, dal canto suo: «Nell’ultimo fascicolo di Regnabit, il Sig. René Guénon ci ha parlato, con la sua incontestabile autorità, di quell’ermetismo cristiano di cui sarebbe puerile contestare l’esistenza ed il ruolo importante nel Medio Evo» (A propos de deux livres récents, numero di Nov. 1925). [6] - Non è nostra intenzione, qui, fare la storia di tutto il dibattito, né il processo alle diverse posizioni, ma soltanto evocare le circostanze nelle quali René Guénon ebbe a formulare allora i suoi studi sul simbolismo cristiano. Tuttavia, per quanto riguarda la questione sollevata dall’idea stessa della Rivelazione del Sacro-Cuore (che era il tema di Regnabit e che non avrebbe dovuto incontrare serie difficoltà né dal punto di vista dell’ortodossia tradizionale in generale né dal punto di vista dell’ortodossia cattolica romana in particolare), si può osservare, a titolo illustrativo, che un’altra pubblicazione cattolica, ad opera d’un ecclesiastico tomista, pose allora tale questione nei seguenti termini: «Bisognerebbe che ci si dicesse con chiarezza quel che s’intende per Rivelazione del Sacro-Cuore. È una cosa nuova? È qualcosa di veramente distinta dalla semplice Rivelazione cristiana? Se sì, cos’è dunque che la distingue? Se no, ciò costituisce la soppressione stessa dell’oggetto o della ragion d’essere della rivista Le Sacré-Coeur (ossia di Regnabit, Rivista universale del Sacro-Cuore)». Ciò costituiva un cattivo presagio per il futuro della rivista. [7] - Dei suoi libri, egli non ricordò che L’Ésotérisme de Dante, una volta (nell’articolo La Terre sainte et le Coeur du Monde, Sett.-Ott. 1926) e Le Théosophisme, histoire d’une pseudo-religion, anch’esso una volta (nell’articolo Une contre-façon du catholicisme, Aprile 1927). [8] - Quanto all’importanza data da egli stesso allo studio delle dottrine indù, vedere soprattutto Orient et Occident, cap. IV (pagg. 204-213 dell’edizione del 1948). [9] - L’articolo in questione è stato oggetto d’una seconda redazione che fu pubblicata con il titolo: Quelques aspects du symbolisme du poisson su Études Traditionnelles del Febbraio 1936 e nel quale non figura più questo post-scriptum; ora, è in questa nuova forma che abbiamo preso questo studio nella presente raccolta, cap. XXII. [10] - Il termine ‘Consumatore’ riferito a Gesù è tratto dalla Lettera di San Paolo agli Ebrei (XII, 2): “…levando lo sguardo all’autore e consumatore della fede, Gesù” (n.d.T.). [11] - Vedere la nota iniziale del cap. LXXIII, Le grain de sénevé. [12] - La rivista Regnabit cessò essa stessa le pubblicazioni nel 1929 (l’ultimo numero è di Maggio). Poco dopo Louis Charbonneau-Lassay diresse una nuova rivista, Le rayonnement intellectuel, che uscì dal 1930 al 1939, ma alla quale René Guénon non collaborò; ne faceva, tuttavia, delle recensioni nelle sue rubriche mensili su Voile d’Isis - Études Traditionnelles ove da parte sua proseguiva, all’epoca, i suoi lavori sul dominio del simbolismo. [13] - L’articolo Le Sacré Coeur et la légende du Saint Graal (Regnabit, Agosto-Settembre 1925), che fa parte di quei sei testi ripresi, nonché due altri articoli di simbolismo, Le Saint-Graal (Le Voile d’Isis, Febbraio e Marzo 1934) e Les Gardiens de la Terre sainte (ibidem, Agosto-Settembre 1929), che figurano ugualmente nella presente raccolta, sono già stati inclusi in una raccolta postuma di carattere provvisorio, intitolata Aperçus sur l’ésotérisme chrétien (Les Éditions Traditionnelles, Parigi, 1954), che era stata autorizzata per una sola edizione e la cui materia sarà ora ripartita in delle raccolte in forma definitiva... [14] - Su questo punto, si possono trovare delle precisazioni bibliografiche nel libro del Sig. P. Chacornac La Vie simple de René Guénon (Les Éditions Traditionnelles, Parigi, 1958). [15] - Con il suo ultimo nome Études Traditionnelles, tale rivista continua ad uscire ancor oggi. [16] - Vedere: Le Symbolisme de la Croix, Prefazione. [17] - Il dottor Ananda Kentish Coomaraswamy nasce a Colombo il 22 Agosto 1877, e muore a Boston il 22 Settembre 1947. Responsabile del Dipartimento dell’Islâm e del Medio Oriente al Museum of Fine Arts di Boston, è autore soprattutto di numerosi lavori sull’arte indù e sui miti vedici e buddisti. Per la sua biografia in francese, vedere la Prefazione al suo libro: Hindouisme et Bouddhisme (Coll. Tradition, Gallimard). [18] - Vedi soprattutto Le Roi du Monde (1927), Le Symbolisme de la Croix (1931) e La Grande Triade (1946).
INDICE GENERALE – 1. Il simbolismo tradizionale e alcune sue applicazioni generali - 2. Simboli del centro e del mondo - 3. Simboli della manifestazione ciclica - 4. Alcune armi simboliche - 5. Simbolismo della forma cosmica - 6. Simbolismo costruttivo - 7. Simbolismo assiale e simbolismo del passaggio - 8. Simbolismo del cuore.