Lo Yogi, il cui intelletto è perfetto, contempla tutte le cose come contenute in se stesso e così, per l’occhio della Conoscenza egli percepisce che ogni cosa è Atma. Egli conosce che tutte le cose contingenti non sono altro che Atma e che al di fuori di Atma nulla vi è, poiché le cose differiscono semplicemente in designazione, accidente e nome, come gli utensili terrestri ricevono diversi nomi, quantunque siano soltanto forme differenti di terra; così egli percepisce che è lui stesso tutte le cose. Quando gli accidenti sono soppressi, il Muni entra, con tutti gli esseri nell’Essenza che tutto penetra. Egli è senza qualità, senza azione, senza volizione, tutto Beatitudine, immutabile, senza forma, eternamente libero e puro. Egli è come l’Etere, diffuso dappertutto e che simultaneamente penetra l’interno e l’esterno delle cose; è incorruttibile, imperituro; egli è sempre lo stesso in tutte le cose, puro, impassibile, inalterabile. Egli è il Supremo Brahma, che è eterno, puro, libero, solo, incessantemente pieno di Beatitudine, senza dualità, Principio di ogni esistenza, conoscente e senza fine.
René Guénon: L'uomo e il suo divenire secondo il Vêdânta Adelphi Edizioni, Milano 2009, 171 pagg., (in distribuzione) - € 19,95 - ISBN 9788845909139
Premessa dell’autore Parecchie volte, nelle nostre precedenti opere, abbiamo manifestato il proposito di scrivere una serie di studi nei quali ci fosse possibile, secondo i casi, sia esporre direttamente certi aspetti delle dottrine metafisiche dell’Oriente, sia adattare queste stesse nel modo più intelligente e più utile, ma sempre restando rigorosamente fedele al loro spirito. Il presente lavoro costituisce il primo di questi studi: vi prendiamo in esame come punto di vista centrale quello delle dottrine indù, per ragioni che già abbiamo avuto occasione di indicare, e più particolarmente quello del Vedanta, che è il ramo più puramente metafisico di tali dottrine; beninteso ciò non ci impedirà di fare, ogni qual volta se ne presenterà l’occasione, confronti e paragoni con altre teorie, qualunque ne sia la provenienza e specialmente ci riferiremo agli insegnamenti degli altri rami ortodossi della dottrina indù nella misura in cui vengono, su certi punti, a precisare e completare quelli del Vedanta. Sarebbe tanto poco fondato rimproverarci questo modo di procedere in quanto le nostre intenzioni non sono affatto quelle di uno storico; teniamo ancora espressamente precisare, a questo proposito che vogliamo fare opera di comprensione, non di erudizione, poiché è la verità delle idee che esclusivamente ci interessa. Se abbiamo ritenuto opportuno dare referenze precise, è stato per motivi che non hanno niente in comune con le preoccupazioni speciali degli orientalisti; abbiamo soltanto voluto dimostrare che non inventiamo, che le idee da noi esposte hanno un’origine tradizionale, e fornire nello stesso tempo il mezzo, a coloro che ne fossero capaci, di riferirsi ai testi nei quali potranno trovare complementari indicazioni, poiché si intende che non abbiamo la pretesa di fare un’esposizione assolutamente completa, nemmeno su un punto determinato della dottrina. [...]
In quanto ad offrire un’esposizione d’insieme, la cosa è del tutto impossibile: o sarebbe un lavoro interminabile, o bisognerebbe esporlo in forma tanto sintetica che riuscirebbe perfettamente incomprensibile per mentalità occidentali. Inoltre, sarebbe difficilissimo evitare, in un’opera di questo genere, l’apparenza di una sistemazione incompatibile con il carattere più essenziale delle dottrine metafisiche; senza dubbio sarebbe solo una apparenza, ma non eviterebbe per questo una causa di errori estremamente gravi, tanto più che gli Occidentali, per le loro abitudini mentali, sono sempre abituati a scorgere «sistemi» anche dove non ve ne sono. È molto importante non dare il minimo appiglio a queste ingiustificate assimilazioni, a cui sono particolarmente inclini gli orientalisti tedeschi: meglio sarebbe astenersi dall’esporre una dottrina piuttosto che contribuire a snaturarla, fosse pure per semplice inettitudine; ma fortunatamente esiste un mezzo per sfuggire a quest’inconveniente: è di trattare, in una stessa esposizione, un solo punto ed un aspetto più o meno definito della dottrina, salvo prendere poi altri punti e farne l’oggetto di altrettanti studi distinti. D’altronde, questi lavori non rischieranno mai di diventare quello che egli eruditi e gli «specialisti» chiamano «monografie», poiché i principi fondamentali non saranno mai perduti di vista ed i punti secondari stessi appariranno solo come applicazioni dirette o indirette di questi principi, da cui tutto deriva; nell’ordine metafisico, che si riferisce all’Universale, non può esservi il minimo posto per la «specializzazione».
È facile ora comprendere perché facciamo oggetto del presente studio solamente quanto concerne la natura e la costituzione dell’essere umano: per rendere più chiaro quel che dobbiamo dirne, dovremo necessariamente considerare altri punti che, a prima vista, possono sembrare estranei all’argomento, mentre è sempre in rapporto ad esso che li prenderemo in esame. I principi hanno una portata che va immensamente oltre ogni possibile applicazione; non per questo è meno legittimo esporli, per quanto è possibile, relativamente a tale o tal’altra applicazione; è preferibile adottare questo procedimento, vantaggioso per più ragioni. D’altra parte, una questione qualsiasi può dirsi trattata metafisicamente solo quando è riattaccata ai principi; non bisogna mai dimenticarlo se si ha interesse per la vera metafisica e non per la «pseudo-metafisica» dei filosofi europei. Se abbiamo deciso di esporre in primo luogo gli argomenti relativi all’essere umano, non è perché abbiano, dal punto di vista puramente metafisico, una importanza eccezionale, poiché, essendo questo completamente libero da tutte le contingenze, il caso dell’uomo non è mai considerato un caso privilegiato; ma esordiamo in tal modo perché questi argomenti si sono già posti durante i nostri precedenti studi, che necessitavano, a questo proposito, un complemento che si troverà in questo. L’ordine che adotteremo per gli studi che seguiranno dipenderà ugualmente dalle circostanze e sarà, in larga misura, determinato da considerazioni d’opportunità; abbiamo reputato utile dirlo sin d’ora, perché non si scorga una specie di ordine gerarchico in riguardo all’impostazione degli argomenti ed alla loro dipendenza; significherebbe attribuirci un’intenzione che non abbiamo, ma purtroppo ben sappiamo come tali equivoci facilmente avvengano e perciò ci dedicheremo a prevenirli ogni qualvolta sarà nelle nostre possibilità. Vi è ancora un punto che troppo ci interessa per tacerlo in queste osservazioni preliminari, sul quale, tuttavia, pensavamo di esserci sufficientemente spiegati; ma ci siamo accorti che non tutti l’avevano ben capito, perciò dunque vi insistiamo ulteriormente. Questo punto è il seguente: la conoscenza vera che abbiamo esclusivamente in vista, non ha che pochissimi rapporti, dato che ne abbia, col sapere «profano»; gli studi che costituiscono quest’ultimo non sono a nessun titolo ed a nessun grado una preparazione, sia pure lontana, per avvicinare la «Scienza sacra», e qualche volta essi al contrario sono un ostacolo, per la deformazione mentale, spesso irrimediabile, che è la conseguenza la più ordinaria di una certa educazione. Per dottrine come quelle che esponiamo, uno studio cominciato «dall’esteriore» non può essere di nessun profitto; l’abbiamo già detto, non si tratta di storia e nemmeno di filologia o di letteratura, ed aggiungiamo ancora, rischiando di ripeterci in un modo che qualcuno potrà trovare forse fastidioso, che tanto meno si tratta di filosofia.
Tutte queste cose, infatti, ugualmente appartengono a quel sapere che qualifichiamo «profano» od «esteriore», non per disprezzo, ma perché in realtà non è che questo; noi non abbiamo a preoccuparci di piacere agli uni o dispiacere agli altri, ma soltanto di esporre quello che è e di attribuire ad ogni cosa il nome ed il posto che normalmente le convengono. La «Scienza sacra» è stata messa odiosamente in ridicolo, nell’Occidente moderno, da impostori più o meno coscienti, ma non per questo bisogna astenersi dal parlarne o fingere, se non di negarla, perlomeno di ignorarla; al contrario, noi affermiamo decisamente, non soltanto che esiste, ma che abbiamo l’intenzione di occuparcene esclusivamente. Coloro che vorranno riferirsi a quello che altrove abbiamo detto sulle stravaganze degli occultisti e dei teosofisti, comprenderanno immediatamente che quanto consideriamo è tutt’altra cosa e che queste stesse persone sono ai nostri occhi semplici «profani», per di più «profani» che aggravano singolarmente loro caso quando vogliono darsi per quello che non sono; questa è una delle ragioni principali per cui giudichiamo necessario rilevare l’inanità delle loro pretese dottrine ogni qualvolta se ne presenti l’occasione. Quello che abbiamo detto deve anche far capire che le dottrine di cui ci proponiamo l’esposizione, per la loro stessa natura, si rifiutano ad ogni tentativo di «volgarizzazione»; sarebbe ridicolo di voler «mettere alla portata di tutti», come usualmente si dice alla nostra epoca, concezioni che debbono rivolgersi ad una élite, e cercare di farlo sarebbe il modo più sicuro per deformarle. Altrove abbiamo spiegato quello che intendiamo per élite intellettuale, quale sarà la sua funzione se riuscirà un giorno a costituirsi in Occidente, e come lo studio reale e profondo delle dottrine orientali sia indispensabile per prepararne la formazione. In vista di un simile lavoro, i cui risultati si faranno indubbiamente sentire solo a lunga scadenza, crediamo di dover esporre certe idee per coloro che sono capaci di assimilarle, senza mai fare ad esse subire quelle modificazioni e semplificazioni che sono la prerogativa dei «volgarizzatori» e che si opporrebbero direttamente allo scopo che ci proponiamo. Infatti, non è alla dottrina di abbassarsi e di restringersi per il limitato intelletto del volgare; sono invece quelli che lo possono che debbono elevarsi alla comprensione della dottrina nella sua integrale purezza, ed è solo in tal modo che può formarsi una vera élite intellettuale. Fra quelli che ricevono uno stesso insegnamento, ognuno lo capisce e se lo assimila più o meno completamente, più o meno profondamente, secondo le proprie capacità intellettuali; così si opera naturalmente la selezione senza la quale non vi potrebbe esser vera gerarchia. Abbiamo già detto queste cose, ma era necessario ricordarle prima di intraprendere un’esposizione propriamente dottrinale; ed è tanto meno inutile ripeterle insistentemente quanto più esse sono estranee alla mentalità occidentale attuale.
INDICE GENERALE: Premessa. I - Generalità sul Vêdânta. II - Distinzione fondamentale tra il «Sé» e l'«io». III - Il centro vitale dell'essere umano, dimora di Brahma. IV - Purusha e Prakriti. V - Purusha inalterato dalle manifestazioni individuali. VI - I gradi della manifestazione individuale. VII - Buddhi o l'intelletto superiore. VIII - Manas o il senso dell'eterno. le dieci facoltà esterne di sensazione e di azione. IX - Gli involucri del «Sé»; i cinque vâyu o funzioni vitali. X - Unità e identità essenziali del «Sé» in tutti gli stati dell'essere. XI - Le differenti condizioni di Âtmâ nell'essere umano. XII - Lo stato di veglia o la condizione di Vaishwânara. XIII - Lo stato di sogno o la condizione di Taijasa. XIV - Lo stato di sonno profondo o la condizione di Prâjna. XV - Lo stato incondizionato di Âtmâ. XVI - Rappresentazione simbolica di Âtmâ e delle sue condizioni mediante il monosillabo sacro Om. XVII - L'evoluzione postuma dell'essere umano. XVIII - Il riassorbimento delle facoltà individuali. XIX - Differenza delle condizioni postume secondo i gradi della Conoscenza. XX - L'arteria coronale e il «raggio solare». XXI - Il «viaggio divino» dell'essere in via di liberazione. XXII - La liberazione finale. XXIII - Vidêha-mukti e jîvan-mukti. XXIV - Lo stato superiore dello Yogî: l'«Identità Suprema».