Se alcuni Occidentali potessero, attraverso la lettura di quanto siamo andati esponendo, prender coscienza di ciò che fa loro difetto intellettualmente; se potessero, non diciamo capirlo ma per lo meno intravederlo e presentirlo, questo lavoro non sarebbe stato fatto invano. Non è nostra intenzione parlare unicamente dei vantaggi inapprezzabili che potrebbero ottenere direttamente, per se stessi, coloro che fossero così condotti a studiare le dottrine orientali, nelle quali troverebbero, per poco che possiedano le attitudini indispensabili, conoscenze di cui l'Occidente non può presentare nulla di paragonabile e nei confronti delle quali le filosofie che passano per geniali e sublimi non sono che passatempi da bambini; tra la verità assentita nella sua pienezza, attraverso una concezione dalle possibilità illimitate e in una realizzazione ad essa adeguata, e le ipotesi, di qualunque natura siano, immaginate da fantasie individuali a misura della loro capacità dalle limitazioni inevitabilmente ristrette, non vi è comune misura.
René Guénon: Introduzione generale allo studio delle dottrine indù Adelphi edizioni, Milano, 1989, pagg. 256, (in distribuzione) - € 24,70 - ISBN 9788845907043
È opinione corrente che i libri di Guénon non abbiano alcun bisogno di essere recensiti: in effetti, le opere di questo grande metafisico possiedono un fascino e un potere di attrazione tale per cui dopo averne letta una si avverte l’esigenza di leggere anche le altre senza bisogno di particolari inviti alla lettura; inoltre, la vastità dell’esposizione dottrinale guenoniana rende piuttosto arduo il lavoro di chi voglia riassumerne i contenuti, dato che l’oggetto non è altro che la Tradizione nel suo complesso, presentata agli Occidentali attuali secondo una modalità espressiva pienamente veritiera e al contempo congeniale a quelli tra loro che mantengono una retta disposizione. Riteniamo tuttavia non inutile arrischiare alcune parole di presentazione di questo testo, e ciò per soprattutto al fine di esporre almeno qualcosa delle dottrine di cui parla, e di giudicare alla luce della situazione attuale la prospettiva in esso indicata; in tutto questo terremo presente come ‘termine di confronto’ soprattutto l’Islam, e ciò non solo per la nostra competenza a riguardo, ma anche in quanto è islamica la componente dell’‘Oriente’ che è realmente entrata in gioco in Occidente, perlomeno negli ultimi 40 anni (e ciò conformemente ad una delle ipotesi previste da Guénon proprio nel nostro testo, come si vedrà). Va da subito chiarito che il titolo del presente libro (scritto nel 1920 e pubblicato nel 1921) può trarre parzialmente in inganno, in quanto parte consistente dell’opera è dedicata da un lato alla presentazione delle caratteristiche generali delle civiltà orientali (suddivise in tre ripartizioni generali, e cioè Vicino Oriente rappresentato dai paesi islamici, Oriente Medio rappresentato dall’India, e Estremo Oriente rappresentato dalla Cina e dall’Indocina), e delle dottrine ad esse inerenti intese come basate su elementi comuni, e dall’altro alla incapacità radicale della civiltà europea ‘moderna’ a porsi in corrispondenza con l’Oriente (sia nel senso dell’assenza di un punto di vista ‘metafisico’ in Occidente, sia per il tentativo reiterato di mistificazione delle dottrine orientali da parte della sedicente intellettualità occidentale). [...]
Ad essere più precisi, nel suo impianto fondamentale l’Introduzione generale allo studio delle dottrine indù si propone per prima cosa di indicare “le differenze essenziali e fondamentali che esistono fra i modi generali del pensiero orientale e quelli del pensiero occidentale”; in secondo luogo si studiano in modo specifico “le dottrine indù”; infine a proposito di queste ultime si segnala “l’insufficienza delle interpretazioni che hanno corso in Occidente” (pagg. 14-5). Più che riassumere l’argomentazione guenoniana, cercheremo di enucleare alcune tematiche di particolare importanza. 1) Prima di tutto, si dovrà considerare quando Guénon parla dei Caratteri essenziali della metafisica, nel capo II del libro: pur essendo a rigore impossibile definire la metafisica, egli afferma che essa “è la conoscenza dell’universale”, o “dei principi di ordine universale” (pag. 79), e cioè di ciò che è al della ‘fisica’ e della ‘natura’, e dunque al di là dell’esperienza, ma anche della dualità, delle contingenza e del cambiamento, dal che si deduce l’assoluta inutilità “di ogni tentativo di applicare il ‘metodo storico’ a quanto sia di ordine metafisico” (pag. 81). Inoltre, sfuggendo per definizione al ‘relativo’, il suo campo e il suo metodo non saranno le ‘credenze’ o le ‘opinioni’, ma solo “la certezza permanente ed immutabile” (pag. 82). Se si vuole poi parlare delle modalità dell’acquisizione di una conoscenza propriamente metafisica, siccome nella conoscenza vera vi deve essere identificazione tra soggetto e oggetto ecco che le verità metafisiche non potranno essere concepite che da una facoltà di ordine ‘sovra-individuale’: non si tratterà della ‘ragione’, ma dell’“intuizione intellettuale” (p. 83). Secondo Aristotele, “nulla è più vero dell’intelletto”: esso, dice Guénon, “è necessariamente infallibile, proprio perché la sua operazione è immediata, e perché, non essendo realmente distinto dal proprio oggetto, si confonde con la verità stessa. Tale è il fondamento essenziale della certezza metafisica” (p. 84). Osserviamo che questo modo di concepire la ‘metafisica’ (secondo noi assolutamente veritiero) trova delle corrispondenze precise nell’Islam, e questo sia al livello ‘teorico’ che nelle elaborazioni e nelle ‘tecniche’ del Tasawwuf. Nel Corano, dopo la Sura Aprente (Fâtiha, che rappresenta propriamente, secondo un detto del Profeta, la ‘madre del Libro’), la seconda Sura, detta ‘Sura della Vacca Sacrificale’, inizia con le parole «Alif, Lâm, Mîm. È un Libro nel quale non v’è alcun dubbio (lâ rayba fî-hi)». Si tratta di un’allusione proprio a quella ‘certezza assoluta’ che secondo Guénon è caratteristica prima della metafisica: il Libro (e cioè il Corano stesso) da una parte viene da quella certezza (nel senso che si intende proiettato da Allah, per mezzo dell’Angelo, su quel grado dell’essere profetico muhammadiano che è propriamente ‘sovra-individuale’, rappresentato dal ‘cuore’), e dall’altra costituisce una ‘corda divina’ che fa salire chi si affida ad essa verso l’acquisizione dell’intuizione intellettuale, che d’altra parte è la sola facoltà con la quale il Libro può essere propriamente compreso.
Per quanto riguarda le ‘tecniche’ iniziatiche per mezzo delle quali si può ottenere “l’unione effettiva dell’essere umano con l’Universale”, l’esoterismo islamico mette in atto delle metodologie del tutto analoghe a quelle che Guénon descrive a proposito dell’Induismo, e in particolare dello Yoga, laddove tanto la ‘concentrazione’ quanto gli altri “mezzi ausiliari” così efficaci nel “facilitare la Realizzazione” (p. 189) prendono il nome di Dhikr (letteralmente ‘ricordo’, un ricordo nel quale in qualche modo il Ricordo stesso, il Ricordato e il Ricordante si identificano), associato spesso a certe applicazioni della ‘scienza del ritmo’; non a caso poi in ambito propriamente islamico (e in lingua araba) quella “conoscenza teorica” che secondo Guénon è, tra i mezzi preliminari per la Realizzazione, l’unico veramente indispensabile, viene veicolata sì dai testi dottrinali della metafisica (come quelli di Ibn ‘Arabi), ma anche (e vorremmo dire soprattutto, perlomeno all’interno della vita rituale propria delle confraternite iniziatiche) dall’insegnamento orale, dalla poesia sacra e dalle varie formulazioni della ‘preghiera sul Profeta’ (salât ‘alâ n-nabiyy) composte dai Maestri del Tasawwuf, ad attestare l’unità inscindibile tra la dottrina stessa e la concezione dell’Uomo universale (al-insânu l-kâmil) con il quale si arriva ad identificarsi (p. 191), rappresentato proprio dal Profeta Muhammad (su di lui la preghiera e la pace divine). 2) Questo richiama un secondo punto di particolare interesse che si può dedurre leggendo attentamente questa Introduzione generale allo studio delle dottrine indù. Come s’è detto in precedenza, secondo Guénon le dottrine inerenti a tutte e tre le suddivisioni dell’Oriente (Islam, India, Estremo Oriente) sono “basate su elementi comuni”. Ora, questa che appare a prima vista come una constatazione puramente teorica, rivela ai nostri occhi un’importanza operativa fondamentale, dato che ne consegue la possibilità di leggere (come ‘in controluce’ e facendo ben attenzione alle necessarie trasposizioni) dietro tutto ciò che viene detto dell’Oriente in generale e dell’Induismo in particolare delle indicazioni che si possono riferire all’esoterismo islamico (e potremmo anche dire all’Islam in generale, se si considera che nella Tradizione islamica l’aspetto ‘metafisico’ e quello ‘religioso’ sono sì assolutamente differenziati nelle finalità, ma sono anche intrinsecamente solidali, esprimendo il secondo in formulazioni adatte a menti semplici la stessa dottrina espressa dal primo, per tacere del fatto che le stesse tecniche iniziatiche trovano sempre la loro base nel Testo sacro e nella sunna profetica, che risultano così essere il fondamento di grazia dal quale si sviluppano tanto l’esoterismo quanto l’exoterismo).
Già nel XVII secolo il principe indiano musulmano Dara Shikuk indicò nella sua opera Majma‘u l-bahrayn (‘L’incontro dei due mari’) la completa corrispondenza tra le terminologie islamica e indù. Abbiamo fatto l’esempio delle tecniche preparatorie alla Realizzazione metafisica. Ma facciamo qualche esempio più specifico. Nel suo commento del Corano, Al-Qâshânî (autore della scuola di Ibn ‘Arabî) utilizza il termine isti‘dâd in un senso corrispondente alla concezione di dharma come “principio d’ordine, quindi disposizione e organizzazione interiore” in un singolo essere, così che l’adharma, e cioè l’assenza o l’insufficienza dell’isti‘dâd, “non è affatto il ‘peccato’ in senso teologico, né il ‘male’ in senso morale (…), ma semplicemente la ‘non-conformità’ con la natura degli esseri, lo squilibrio, la rottura dell’armonia, la distruzione o il sovvertimento dei rapporti gerarchici” (p. 151), mentre il karma è al-‘amal, e cioè “l’azione” rituale “mediante la quale” la disposizione interiore detta dharma viene “manifestata esteriormente”. Del resto, la stessa concezione di ‘peccato’ come fatto esclusivamente morale al di fuori di un riferimento di tipo appunto metafisico è estranea all’Islam, se si considera che il termine dhanb è sì il ‘peccato’, ma significa anche ‘coda’, e dunque per analogia ‘ciò che consegue’ inevitabilmente al mancato orientamento interiore al Principio, e dunque l’atto ‘non-conforme’, nel senso appena spiegato (oppure, secondo un’altra prospettiva, ‘ciò che consegue’ alla stessa contingenza in cui necessariamente vive l’essere umano, così che il dhanb sarebbe in un certo senso inseparabile dall’uomo, come risulta da alcuni hadith profetici), mentre con il termine tawba si identifica il ‘pentimento’, ma più propriamente la ‘conversione’ e il ‘ritorno’ al Principio, o alla conformità ad Esso. E più in generale tutta la terminologia tipica dell’Islam è invariabilmente leggibile ai due livelli (quello ‘religioso’ e quello ‘metafisico’): ecco allora che l’istigfâr è sì la ‘richiesta di perdono’ rivolta a Dio, ma è nello stesso tempo (e più precisamente, secondo l’etimologia) la ‘richiesta di copertura’, nel senso che l’essere chiede che le proprie caratterizzazioni creaturiali e contingenti vengano ‘coperte’ da analoghe caratterizzazioni principiali e divine; la taqwâ è sì il ‘timor di Dio’, ma è anche (e più precisamente, secondo l’etimologia) il ‘guardarsi’ di ciò che è altro da Allah, e dunque da ogni ‘alterità’, nella concezione dell’Unità essenziale; e al-îmân è sì la ‘fede’, ma intesa non come la ‘credenza’ in qualcosa di altrimenti incomprensibile, ma come quella forza operativa che permette l’orientamento principiale; e così via. Ora, se oltre a quanto detto consideriamo il ruolo che di fatto l’Islam sta assumendo nella società occidentale attuale, e se ricordiamo quanto Guénon afferma nella sua Conclusione (p. 249), laddove espone la possibilità che l’Oriente, “nella sua totalità o in qualcuna delle sue parti costitutive”, “per salvare il mondo occidentale” da un irrimediabile decadimento che conseguirà inevitabilmente quando si giungerà ad un ‘punto di rottura’, cerchi di assimilarlo, ecco che si rivela con una certa chiarezza come l’Islam stia già operando in questo senso, e questo per così dire per conto di tutto l’Oriente, essendo l’unica sua componente provvidenzialmente disposta a questo, avendo la possibilità di intervenire in Occidente senza snaturarsi e utilizzando una ‘mediazione’ di tipo religioso che è l’unica a condividere qualcosa dell’aspetto sentimentale dominante nella mentalità dagli Occidentali, ed essendo al contempo potenzialmente in grado (come si è visto) di orientare tale aspetto a ciò che lo supera. Dio voglia che questo tentativo abbia successo! Naturalmente il discorso è particolarmente delicato: si deve fare molta attenzione (quanto all’ambiente in cui l’Islam viene ad operare) al processo che sta portando l’organizzazione religiosa più diffusa in Occidente, la Chiesa cattolica nella sua attuale costituzione e con la sua attuale direzione, a compiere una scelta di campo definitiva ed irreversibile in favore della piena solidarietà con la ‘deviazione’ occidentale (nel dispregio della sua propria Fonte ‘orientale’, e nella dimenticanza totale di quelle correnti dell’intellettualità europea che furono conformi in tutto o in parte all’Oriente): date anche le consistenti alterazioni rituali messe in atto dal Concilio in poi, la scomparsa di un riferimento fondante alla ‘Vulgata’ di san Girolamo (ciò che priva l’Occidente latino di una traduzione spiritualmente affidabile del Libro sacro), e una tendenza ‘giudaicizzante’ per molti versi paradossale (e che costituisce in un certo senso la parodia dell’‘universalizzazione’ dottrinale che i tempi attuali, con la contemporanea compresenza di tutte le Tradizioni, imporrebbero al Cristianesimo), in assenza di una salutare ed augurabile reazione si deve considerare concretamente la sciagurata possibilità che anche nei paesi a maggioranza ‘cattolica’ venga a mancare ogni protezione spirituale, il che, messo da parte ogni spirito ‘partigiano’ (e considerato anche lo stato dell’altra organizzazione tradizionale presente in Occidente, la Massoneria), è da valutare in sé come una vera catastrofe. La disgraziata ipotesi che delineiamo avrebbe in aggiunta l’effetto di ostacolare pesantemente l’azione ‘orientale’ veicolata dall’Islam, e questo perché renderebbe ben difficile il costituirsi “di un nucleo intellettuale” propriamente occidentale “che, sia pur formato da una élite ristretta, fosse così saldo da diventare l’indispensabile mediatore per riportare la mentalità generale verso le fonti della vera intellettualità”, essendo che permanendo una netta “differenza di mentalità”, ciò ci tradurrebbe in decisa opposizione, e ogni ‘assimilazione’ sarebbe impossibile (p. 251): e già ora vediamo come a livello ‘popolare’ stia piano piano affievolendosi quel ‘ricordo’ della Tradizione che serve comunque da punto di appoggio per l’azione islamica, benché noi riteniamo che non tutto sia perduto, e che l’Islam veicoli una fortissima ‘influenza spirituale’ in grado di superare molti ostacoli. Queste nostre osservazioni richiederebbero inoltre di essere corredate da alcune necessarie puntualizzazioni riguardanti le condizioni relative all’espansione mondiale della mentalità occidentale: pur non potendo sviluppare adeguatamente il discorso in questa sede, si può dire prima di tutto che il fatto (secondo noi inoppugnabile, nonostante certe apparenze) che tale espansione non coinvolge i Centri spirituali dell’Oriente in generale e dell’Islam in particolare permette di continuare a parlare di una giustapposizione tra Oriente e Occidente essenzialmente negli stessi termini proposti da Guénon (anche se emerge ora chiarissima la diversa e provvidenziale funzione dell’Islam rispetto alle altre componenti dell’Oriente).
Nel valutare la reale portata della corruzione che si è estesa nell’Oriente ci si deve poi guardare dall’osservare le cose con le lenti deformanti della stessa mentalità occidentale, la quale in definitiva vuole sempre e a tutti i costi vedere solamente le tendenze ad essa conformi, oltre a confondere sovente una certa corruzione o rilassamento dei ‘costumi’ morali (o l’acquisizione di alcune abitudini pratiche legate alla diffusione della tecnologia moderna) con l’abbandono dell’orientamento tradizionale, cosa che è ben lungi dall’essere vera in tutti i casi. Ciò che invece non si può contestare è l’affermarsi sempre maggiore in Oriente di un ceto sedicente intellettuale di formazione occidentale; e tra l’altro è proprio questo ad aver avuto un’importanza basilare sia nell’emergere delle tendenze moderniste dell’Islam (e intendiamo sia quelle ‘fondamentaliste’ che quelle ‘moderate’), sia d’altra parte nel diffondersi di un certo disordine politico-sociale (anche se qui si dovrebbe ‘fare la tara’ e considerare il peso che continua ad avere nei paesi islamici l’intervento politico-militare ed economico delle potenze occidentali). E benché non intacchi l’essenziale, pure ciò impone ai Centri spirituali dell’Islam, più che un ripiegamento, quella che potremmo chiamare una riformulazione delle modalità organizzative di ciò che si è soliti definire ‘esoterismo’ (nella riconsiderazione del ruolo delle ‘confraternite’ propriamente dette (vista la possibilità che i suoi rappresentanti siano influenzati a vario titolo dalla mentalità ‘moderna’, e d’altra parte permanendo la necessità di ‘luoghi di passaggio’ tra l’ambito profano e quello ‘iniziatico’), ed anche un continuo lavoro di adattamento dei supporti rituali da utilizzare nel Cammino iniziatico stesso, nonché vie di intervento sulla mentalità ‘popolare’ differenti rispetto al passato. 3) Si ricollega tuttavia a questi argomenti un terzo punto che vogliamo mettere in luce, quello riguardante le caratteristiche fondamentali della mentalità occidentale, considerata come avente caratteri comuni nonostante le differenze di razza (e nella formazione della quale hanno avuto importanza fondante l’influenza greco-latina e quella ebraica). Guénon ne parla soprattutto nel capo I del libro (dedicato alle Considerazioni preliminari). Egli sostiene in buona sostanza che la divergenza dell’Occidente rispetto all’Oriente (divergenza che in realtà costituisce una deviazione rispetto alla ‘metafisica’) è già presente e chiaramente percepibile nella cosiddetta antichità classica, anche se poi essa si è andata sempre più accentuandosi, pur dovendo considerare sia dei punti di arresto (come la Cristianità medievale) sia dei momenti di accelerazione (come il ‘Rinascimento’ o la Rivoluzione francese, o ancora, diremmo noi, il dilagare dell’influenza protestante nel secondo dopoguerra, in particolare dopo il Concilio Vaticano secondo). Già con i Greci insomma ‘il ramo si era staccato dal tronco’ (p. 23), nel senso che per quanto riguarda quel poco di intellettualità che ancora permane l’Europa è interamente debitrice dell’Oriente, mentre il ‘cambiamento’ operato dai Greci non è altro che decadimento, e “si riduce all’individualizzazione delle concezioni, alla sostituzione del razionale al puro intellettuale, del punto di vista scientifico e filosofico al punto di vista metafisico”, oltre che nello sviluppo di una tendenza pratica che si sarebbe in seguito viepiù accentuata in Occidente, una tendenza con la quale i Greci “hanno attribuito alla conoscenza un fine meno puro e disinteressato, poiché per la loro forma mentis non riuscivano a mantenersi nella sfera dei principi se non con difficoltà e in via eccezionale” (pp. 29-30). A tale tendenza pratica si uniscono poi da una parte una tendenza al ‘naturalismo’ che poi sarebbe sfociato (benché molto più avanti) nella fondazione di ‘scienze’ esclusivamente sperimentali, e dall’altra preponderanti considerazioni di carattere estetico.
“La mentalità occidentale, volta quasi esclusivamente alle cose sensibili, fa costante confusione tra concepire e immaginare, al punto che ciò che non è suscettibile di rappresentazione sensibile le pare veramente impensabile; e già presso i Greci le facoltà immaginative erano soverchianti” (p. 85). Tutto questo, come s’è detto, si diffonderà e si approfondirà sempre più, e quanto è propriamente ‘metafisica’ sarà costretto ad esprimersi solo in misura molto parziale, e per il resto a chiudersi all’esterno, ciò che porterà tra l’altro all’assenza di testi scritti di contenuto esplicitamente metafisico in Occidente (gli stessi testi dell’esoterismo cristiano non potendosi ben ‘decifrare’ se non con molti sforzi, e solamente da persone che abbiano ottenuto certi livelli di Realizzazione); fa eccezione da un certo punto di vista l’opera dantesca, e in special modo la Divina Commedia e la Vita nova, testi il cui ‘tessuto’ iniziatico è viceversa facilmente percepibile. Quasi superfluo notare quanto sia attuale ciò che dice Guénon a proposito della mentalità occidentale, e soprattutto in che misura ciò alluda alla necessità di un cambiamento di rotta radicale. 4) Infine (quarto punto) nella Premessa (ma anche ai capi I e IV del libro) Guénon mette in luce l’insufficienza dell’orientalismo (che per definizione dovrebbe raccogliere e formare “quegli occidentali che si occupano delle cose d’Oriente”): gli orientalisti, egli dice, a volte si occupano della sola erudizione (il che rappresenta una limitazione dell’orizzonte mentale, ma almeno è di una certa utilità, dato che nessuno può disconoscere il giovamento relativo che si può trarre ad es. da un buon dizionario), ma altre volte si spingono ad interpretare le dottrine orientali, agendo in realtà “col manifesto intento di far rientrare negli schemi abituali del pensiero europeo le concezioni con le quali venivano a contatto” (pag. 12). Essi non intendono che per comprendere un testo in cui si tratti di metafisica è necessario identificarsi “per quanto è possibile alla mentalità di colui o coloro che lo hanno pensato”: è questa “l’unica maniera davvero proficua di studiare le dottrine; per capirle bisogna per così dire studiarle ‘dal di dentro’, mentre gli orientalisti si sono sempre limitati a considerarle ‘dal di fuori’ ” (pag. 48). Così essi arrivano a ritenere che “prima condizione per poter studiare le dottrine metafisiche è di non essere metafisici”, così come nel campo dello studio delle Religioni pensano “che non si hanno titoli per questo studio se solo si appartiene a qualche Religione” (pag. 215). Qui non si può non osservare come anche ora (a distanza di novant’anni) l’orientalismo non esca in linea di massima da tale definizione, quali che siano le apparenze esteriori. Certo, rispetto al quadro presentato da Guénon ci sono da considerare degli elementi nuovi di vario genere, ai quali cercheremo di accennare riferendoci in particolare all’islamistica. Si deve dunque notare che gli ‘islamisti’ veri e propri sono ora contestati nel ruolo di ‘mediazione ufficiale’ nei confronti dell’Oriente non più e non tanto da dei “sognatori stravaganti” o degli “intrepidi ciarlatani” (p. 13) legati a sette di vario genere, ma dai fautori di due diversi approcci alla questione che sebbene siano radicalmente differenti hanno in comune il fatto di essere strettamente legati all’ingresso in Occidente di una componente musulmana. Ecco che in primo luogo abbiamo l’emergere di un punto di vista islamico espresso in lingue europee, ciò che alla lunga potrebbe costituire un’alternativa vincente all’orientalismo, visto che in linea di principio non vi sarebbe alcun bisogno della mediazione degli orientalisti se i testi e le dottrine islamiche fossero presentate correttamente in italiano, francese, inglese ecc. dai rappresentanti qualificati dell’Islam: e non v’è dubbio che sia oramai su di una tale alternativa che occorre puntare con tutti i mezzi.
Bisogna però osservare che accanto a opere di grande interesse (come quella iniziata da Michel Vâlsan e proseguita da Gilis in Francia, tendente a chiarire i fondamenti islamici delle dottrine espresse proprio da Guénon, e d’altra parte la perfetta conformità dell’Islam alla Dottrina espressa da Guénon stesso), si sono moltiplicate pubblicazioni di scarso valore, che spesso uniscono un’incompetenza linguistica a volte talmente spinta da pregiudicare ogni intellezione dei testi, ad una visione limitativa dell’Islam, laddove fanno a gara in stupefacenti incomprensioni gli agitati fautori di un ‘partito preso exoterista’ che non ha molto a che vedere col punto di vista ‘exoterico’ tradizionale (dediti solitamente alla ‘volgarizzazione’ in senso banalizzante dei testi religiosi), e i partigiani di uno ‘pseudo-sufismo’ sincretista e oltremisura accomodante, prosternato alla mentalità comune degli Occidentali moderni e lontanissimo dal Tasawwuf vero e proprio. A tutti costoro ben si adattano le osservazioni di Guénon a proposito di quegli ‘orientali’ che “per una ragione o per l’altra” invece che mantenere un giusto riserbo di fronte alle pretese occidentali “espongono quasi solo dottrine deformate, col pretesto di adattarle all’Occidente” (tendenza questa che è ovviamente presente anche per le altre ‘suddivisioni’ dell’Oriente, anche se sarebbe troppo lungo parlarne). D’altro lato, andando al secondo dei due ‘approcci’ in qualche modo alternativi a quello dell’orientalismo ufficiale, abbiamo i rozzi rappresentanti di un’avversione radicale nei confronti dell’Islam in particolare, i quali foraggiati il più delle volte da istituzioni sioniste e americane, dei cui scopi politici si fanno fautori, non esitano a distorcere le verità più elementari per la loro propaganda (e qui veniamo all’aspetto più attuale del retroscena ‘politico’ del quale già Guénon segnalava l’esistenza dietro alcuni tentativi di mistificazione delle dottrine orientali, come le varie sette simil-protestanti in India, o lo stesso ‘teosofismo’). Da parte sua l’islamistica stessa (spesso e volentieri scalzata, nell’interesse mediatico, dai nemici puri e semplici dell’Islam, e, nelle volgarizzazioni presenti su internet, dalla pubblicistica islamica di basso profilo) pare in una situazione di stallo: messa da parte l’influenza tedesca (che preoccupava molto Guénon soprattutto in relazione agli studi sull’Induismo, e della quale egli parla nel capo IV del libro che qui stiamo recensendo), l’islamistica francese e americana la fa da padrone, e segue il ‘falso tracciato’ indicato da Massignon e compagni, ripetendo all’imbecillità uno schema interpretativo che in fondo non fa che proiettare sull’Islam delle categorie di pensiero che hanno una certa validità solamente all’interno della storia dell’Occidente, come quella dell’inimicizia radicale tra esoterismo ed exoterismo. Troppo impegnati a ripetere lo slogan ‘sufismo buono islam cattivo’, costoro non hanno fatto molti passi avanti nella traduzione di opere di una qualche rilevanza (e ovviamente neppure nell’intellezione delle opere del Tasawwuf). Si potrebbe dire in linea molto generale ma nondimeno esatta che dal dopoguerra in poi gli orientalisti, rifiutate di fatto le chiavi interpretative proposte da Guénon, hanno continuato in un’opera sostanzialmente mistificatoria, tesa a presentare un Islam ‘semplificato’ e privato tanto del suo aspetto iniziatico e metafisico quanto di tutto ciò che concerne il privilegio proprio della Religione islamica, privilegio relativo al suo carattere di sintesi universale e finale di tutto il mondo tradizionale; questo a ben vedere con il fine di costruire un Islam buono per fare da comparsa nel teatrino del ‘sincretismo’ di quel supermercato delle Religioni così caratteristico dello pseudo-universalismo contemporaneo, e non certo con quello di capire a fondo l’oggetto dei loro studi. Anche qui volendo si potrebbe individuare la presenza di un retroscena di legami con determinati interessi politico-strategici, certo più lungimiranti e meno rozzi di quelli dichiaratamente anti-islamici, benché la cosa sia in realtà attinente in modo più generale, più che a tali legami, all’incapacità dell’intellettualità occidentale nella sua quasi totalità a sfuggire alla mentalità profanatrice e desacralizzante caratteristica delle concezioni ‘moderne’. (Recensione di Lodovico Zamboni)
INDICE GENERALE – Prefazione dell'Autore. Parte prima - Considerazioni preliminari. I - Oriente e Occidente. II - La divergenza. III - Il pregiudizio classico. IV - Le relazioni tra i popoli antichi. V - Questioni di cronologia. VI - Difficoltà linguistiche. Parte seconda - I modi generali del pensiero orientale. I - Le grandi divisioni dell'Oriente. II - I principi dell'unità delle civiltà orientali. III - Cos'è la tradizione?. IV - Tradizione e religione. V - Caratteri essenziali della metafisica. VI - Rapporti della metafisica con la teologia. VII - Simbolismo e antropomorfismo. VIII - Pensiero metafisico e pensiero filosofico. IX - Esoterismo ed exoterismo. X - La realizzazione metafisica. Parte terza - Le Dottrine Indù. I - Significato esatto della parola Indù. II - La perpetuità del Vêda. III - Ortodossia ed eterodossia. IV - Sulla questione del buddismo. V - La legge di Manu. VI - Il principio dell'istituzione delle caste. VII - Shivaismo e Vishnuismo. VIII - Gli angoli visuali della dottrina. IX - Il Nyâya. X - Il Vaishêshika. XI - Il Sânkhya. XII - Lo Yoga. XIII - La Mîmânsâ. XIV - Il Vêdanta. XV - Considerazioni complementari sull'insieme della dottrina. XVI - L'insegnamento tradizionale. Parte quarta - Le interpretazioni occidentali. I - L'orientalismo ufficiale. II - L'influsso dei tedeschi. III - La scienza delle religioni. IV - Il teosofismo. V - L'occidentalizzazione del Vêdanta. VI - Ultime osservazioni. Conclusione.