"Se il digiuno appare come il simbolo e il mezzo per eccellenza della Via metafisica, è anche perché si tratta di un segreto; esso non comporta nessuna manifestazione esteriore, e permane ‘esoterico’ nel senso letterale e completo del termine. È metafisico nella sua essenza, perché non appartiene all’ordine naturale e manifesta direttamente la trascendenza divina."
Ibn Arabî: Testi sul digiuno, tradotti e presentati da ‘Abdu r-Razzâq Yahyâ (Charles-André Gilis) Campegine (RE) Settembre 2016, Edizioni Orientamento/Al-Qibla, 88 pagg., € 12,50 - ISBN 9788889795194
Presentazione dell'Editore
Questo libro fu pubblicato per la prima volta in Algeria nel 1989, e consiste in una scelta di testi riguardanti il digiuno islamico tratti dalle Futûhât di Ibn ‘Arabî, tradotti in francese, introdotti ed annotati da Charles-André Gilis, nell’Islam ‘Abdu r-Razzâq Yahyâ. Esso costituisce in ordine di tempo il primo di una serie di studi che Gilis sta dedicando (sotto forma di ‘traduzioni commentate’ di testi ibnarabiani, o di elaborazioni diciamo autonome, per quanto sempre ‘tradizionali’) a diversi aspetti fondamentali dell’Islam, studi che si affiancano a quelli più specificamente dedicati all’esoterismo islamico (tra i quali decisamente notevole è la traduzione commentata dei Fusûsu l-hikam di Ibn ‘Arabî), e a quelli in cui Gilis cerca di orientare il lettore ad una conoscenza maggiormente ‘operativa’ dell’opera di Guénon (svelandone tra l’altro la ‘finalità’ islamica), e di Vâlsan.
A proposito di questo filone dell’opera di Gilis, che riguarda più direttamente i fondamenti dell’Islam, già abbiamo tradotto e pubblicato per la nostra casa editrice le opere riguardanti il Pellegrinaggio (dal titolo “La dottrina iniziatica del Pellegrinaggio”), la concezione tradizionale di ‘Califfato’ (“I sette stendardi del Califfato”) e la zakât, o elemosina rituale (“Metafisica della Zakât”); per altri editori sono apparsi poi “Lo Spirito universale dell’Islam” e “Integrità islamica: né integralismo né integrazione”. Altri testi non ancora tradotti in italiano concernono la preghiera comunitaria del Venerdì, la preghiera sui defunti, la nozione di al-Haqq (Allah in quanto ‘Vero’ che annienta il falso), i concetti di ikhlâs (‘dedizione totale’, ‘culto purissimo’) e di tawhîd (dottrina dell’‘Unità’), il Corano e le ‘attestazioni dell’Unità’ in esso presenti.
Si tratta a nostro avviso di libri di importanza fondamentale: infatti in essi Gilis parte invariabilmente da testi o brani di Ibn ‘Arabî (il ‘sommo Maestro’, ash-Shaykhu l-akbar, dell’esoterismo islamico), che diventano il supporto di un lavoro di chiarimento dei vari aspetti dell’Islam, nel loro significato più profondo, per mezzo della terminologia e dei concetti presentati in Europa da René Guénon (nell’Islam ‘Abdu l-Wâhid Yahyâ) con il fine di spiegare le realtà tradizionali ad un mondo che ne è sempre più dimentico, e secondo un ‘metodo’ di cui Michel Vâlsan (Mustafâ ‘Abdu l-‘Azîz) è stato il precursore. Se si pone mente al rango di questi Maestri, e più ancora alle loro rispettive funzioni, non stupirà se l’opera di ‘coniugazione’ proposta da Gilis apra la porta a prospettive nuove e per certi versi anche sorprendenti: se infatti da una parte si disserrano (avvalendosi principalmente dell’opera ibnarabiana) i segreti più profondi dell’Islam, e se dall’altra essi vengono poi per così dire palesati nel loro significato più universale (utilizzando la presentazione guenoniana dei principi fondamentali della Tradizione, ed il linguaggio a tale presentazione più consono, secondo il ‘metodo’, dicevamo, di Vâlsan), si può finalmente giungere a quella che abbiamo chiamato una ‘coniugazione’, una coniugazione cioè del ‘verbo’ islamico nelle forme più consone alla situazione attuale, in vista dell’assunzione apertamente visibile, da parte della Religione islamica, del suo ruolo di Tradizione finale, e dunque necessariamente ‘ricapitolativa’ delle forme che la precedono, ed altrettanto necessariamente affermativa delle prerogative sue proprie.
Non si creda che sia un’opera facile: proprio i libri di Gilis stanno a testimoniare come si tratti di un lavoro che esige grande attenzione, se non si vuol venir meno al compito che ci si è prefissi: da una parte infatti i più profondi significati dell’Islam sono spesso contenuti in dati tradizionali non ben conosciuti in Occidente, o si trovano nascosti nelle pieghe della lingua araba del Corano e degli hadith, così che parlarne rende necessario dispiegare tali dati e presentare le possibilità espressive dell’arabo, in un’argomentare che può risultare sulle prime piuttosto arduo (e certamente seccante per il lettore europeo avvezzo a non far sforzi e a leggere … quanto già si aspetta di trovare); d’altra parte, i necessari riferimenti universalizzanti e metafisici, espressi nel linguaggio guenoniano, possono suscitare fastidio o anche rifiuto nel lettore musulmano non abituato a certi paralleli e ad un certo modo di esprimersi. In un caso e nell’altro, per quanto si abbia cura di facilitare nei limiti del possibile la comprensione dei testi (ed il superamento di quanto, del senso di fastidio o di repulsione, possa essere causato non da odio per la Tradizione ma da errati accostamenti, o da diffidenze che, se spesso hanno fondato motivo, qui risultano male indirizzate), pure si dovrà tirare diritto e dire quello che va detto, se veramente il fine è quello di conformarsi al Vero senza temere, per usare un’espressione coranica, ‘il biasimo dei biasimatori’: è certo infatti che se ci si priva della ‘base’ islamica si dà un’indicazione errata (perché si oscura al lettore l’accesso alla ‘scala’ provvidenzialmente posta a conformarsi alla Realtà divine ed a salire alla Conoscenza), come si dà un’indicazione errata se si elimina il riferimento esplicito, espresso in un linguaggio adatto alla situazione attuale (che vede la compresenza di varie Tradizioni), alle Dottrine metafisiche (perché così si tarpano le ali a chi è in grado di coglierle).
Tale ‘tirare diritto’ ignorando il biasimo di lettori male avvertiti è il segno che caratterizza i libri veramente ‘operativi’, nel senso dell’avvicinamento a Dio e alla Conoscenza, i libri dunque che portano vero soccorso intellettuale: e certamente i libri di Gilis ne fanno parte. Nel presente testo, Gilis traduce e presenta diversi brani di Ibn ‘Arabî tratti dalle Futûhât, ed aventi ad oggetto il digiuno, con particolare riferimento al digiuno obbligatorio del mese di Ramadan. Nella sua bellissima Introduzione, dove si riassumono e si interpretano le tematiche poi esposte dal ‘sommo Maestro’, Gilis pone l’accento sul carattere al contempo universale e metafisico del digiuno; e se sull’universalità del digiuno non c’è bisogno di spendere molte parole (dal momento che essa è affermata a chiare lettere dal Corano stesso laddove dice «O voi che avete fede, vi è stato prescritto il digiuno come è stato prescritto a coloro che vennero prima di voi», II, 183), è sul suo carattere ‘metafisico’ che si concentra l’argomentazione di Gilis, riflettendo come specchio fedele quella di Ibn ‘Arabî. Ora, il digiuno consiste, secondo la definizione ibnarabiana, in “un’astinenza (imsâk) che procura a coloro che digiunano un’elevazione (rif‘a) presso Allah l’Altissimo.” I due termini ‘astinenza’ ed ‘esaltazione’ sono in realtà complementari nel digiuno: l’astinenza infatti, dice Gilis, “è il punto di partenza di ogni sviluppo spirituale”, e fa sì che il digiuno inteso iniziaticamente rappresenti “il rigetto dell’insieme delle condizioni limitative, qualsiasi esse siano”, ciò che è in effetti già ‘esaltazione’, e cioè superamento delle limitazioni proprie dell’essere individuale (ciò che ben si comprende se si riflette sul fatto che nel digiuno islamico “i divieti divini riguardano soltanto le modalità corporea e sottile della condizione umana”). Così, “il digiuno ha per effetto immediato di rivelare all’uomo la dimensione ‘verticale’ e sovra-individuale del proprio essere”, e grazie ad esso “l’uomo si libera dai desideri e dalle passioni della propria anima”, in modo tale che “il suo cuore si placa” e “si sottomette senza difficoltà all’Ordine divino.” Si comprende allora come, quanto meno virtualmente, “la qualità divina realizzata dal digiunante” sia “la trascendenza” (ciò che diviene chiaramente effettivo nella pratica del ‘digiuno continuo’, wisâl, propria del Profeta, come anche di Gesù, sayyidu-nâ ‘Îsâ). Inoltre, “se il digiuno appare come il simbolo e il mezzo per eccellenza della Via metafisica, è anche perché si tratta di un segreto; esso non comporta nessuna manifestazione esteriore, e permane ‘esoterico’ nel senso letterale e completo del termine. È metafisico nella sua essenza, perché non appartiene all’ordine naturale e manifesta direttamente la trascendenza divina.”
Passando più in specifico al digiuno di Ramadan, prima viene brevemente considerata la sua relativa eccellenza nei confronti di altre due opere obbligatorie (la preghiera e il Pellegrinaggio), quindi si fa notare lo stretto legame (segnalato da Ibn ‘Arabî, ma anche da molti altri testi tradizionali) che lega il ‘Ramadan’ (parola che tra l’altro è anch’essa, secondo un noto hadith profetico, un Nome divino) con as-Samad, Nome di Allah dal senso enigmatico, ma qui legato principalmente ai significati di ‘Sostegno universale’ e di ‘Essere trascendente’ che non ha bisogno di bere e di mangiare. Di seguito, essendo la giornata di Ramadan divisa tra una parte diurna (in cui in effetti si digiuna) ed una notturna (in cui si mangia e si beve, e in cui è raccomandato vegliare), si considera come il Ramadan riassuma in sé la ‘Via ascendente’ (legata necessariamente al “rigetto di ogni condizione limitativa”, e dunque al digiuno diurno), e la ‘Via discendente’ (con la rottura del digiuno, e soprattutto con la rivelazione del Corano, che ha luogo durante il mese di Ramadan, nella ‘Notte del Valore’, laylatu l-qadr), o ancora come rappresenti “l’Unità divina del Principio e della Sua Manifestazione”, o, da un altro punto di vista, “l’Unità essenziale tra Allah (…) e il Suo Profeta”, laddove “all’Altissimo corrispondono il digiuno e la trascendenza del Mistero, e al Suo Beneamato”, e cioè al Profeta, “l’ampiezza misericordiosa, la concessione del cibo e l’immanenza della Rivelazione.”
Questi in estrema sintesi i principali temi dottrinali affrontati nell’Introduzione di Gilis, che fa da ‘specchio fedele’, come dicevano, e chiarificante dei testi ibnarabiani di seguito tradotti, e i cui significati potranno essere penetrati più agevolmente da lettore. Di tali testi, il primo consiste nella ‘Poesia iniziale’ del cap. 71 delle Futûhât (riguardante il digiuno); il secondo è dedicato alla ‘Definizione del digiuno’; il terzo alla ‘Forma spirituale del digiuno’; il quarto testo riguarda ‘Il digiuno di coloro che hanno conoscenza per mezzo di Allah’, coloro cioè che hanno Conoscenza metafisica; nel quinto e nel sesto si fa un parallelo tra ‘Digiuno e preghiera rituale’ (salât); nel settimo e nell’ottavo si considera ‘La fame’, e nel nono ‘Il mese di Ramadan’; il decimo testo infine è un ‘Commento dei versetti relativi al digiuno del mese di Ramadan’ e cioè dei versetti 183-187 della seconda Sura coranica, la Sura della Vacca Sacrificale.
INDICE GENERALE - Introduzione. Testi di Ibn Arabî: 1. La poesia iniziale - 2. Definizione del digiuno - 3. Forma spirituale del digiuno - 4. Il digiuno di coloro che hanno conoscenza per mezzo di Allah - 5 e 6. Digiuno e preghiera rituale - 7 e 8. Sulla fame - 9. Il mese di Ramadan - 10. Commento dei versetti relativi al digiuno del mese di Ramadan. Indice dei soggetti, dei nomi e dei termini arabi. Indice dei versetti del Corano.