An-Nawawi, Yahya ben Sharaf ed-Din: Quaranta hadith Imperia 2002, Edizioni Al-Hikma, pagg. 141, (in distribuzione) - € 9,00 Le edizioni Al-Hikma presentano in ristampa anastatica la traduzione compiuta diversi anni fa da Mohammad Ali Sabri dei ‘Quaranta hadith’ del tradizionista siriano An-Nawawi (1233-1277), opera che ha sempre goduto di grande considerazione nel mondo islamico, nella quale viene scelto un numero limitato di ‘hadith’ (quaranta, appunto, più due aggiunti alla fine dall’autore stesso), ritenuti sintetici dell’insegnamento profetico, e basilari per l’Islam. Significativamente, apre ed introduce la raccolta di An-Nawawi lo stesso hadith col quale inizia il Sahîh di Al-Bukhârî, contenente l’esplicita affermazione profetica dell’antecedenza (e dunque della priorità) dell’aspetto ‘spirituale’ ed interiore della Tradizione rispetto a quello pratico ed esteriore: “Le opere non sono che secondo le intenzioni”. Non c’è bisogno di sottolineare l’opportunità di riportare in lingua italiana un libro di questo genere, sia per la sua importanza intrinseca (religiosa e dottrinale), sia per il suo carattere agile e sintetico, particolarmente adatto per esporre ad un vasto pubblico i fondamenti spirituali, morali e cultuali dell’Islam. Inoltre, la presenza (a fronte) del testo arabo vocalizzato è di grande aiuto per chi (Italiano o italofono) è impegnato nello studio di questa lingua, e per gli Arabi che vogliono impratichirsi nella terminologia religiosa quale si può esprimere in italiano. La traduzione è in definitiva abbastanza corretta, pur non mancando errori o passaggi resi in maniera discutibile. Nel hadith 2 per esempio, i termini îmân e ihsân vengono lasciati in arabo (certamente si poteva invece tradurli, lasciando tra parentesi la parola araba), e anche in nota non viene fornita quella che è la traduzione più corretta di ihsân, e cioè ‘perfezione’. Nel hadith 10, laddove si dice “il suo cibo è illecito, le sua bevanda è illecita” ecc. il lettore deve fare un notevole sforzo di fantasia per capire il senso; sarebbe stato necessario ricostruire la frase, per far comprendere come sia a causa dell’impurità del cibo, della bevanda e degli abiti che l’invocazione del viaggiatore “scarmigliato ed impolverato” non viene accettata da Dio. Deplorevole, infine, l’utilizzo di sigle (SLPBD e DCL) per render conto delle eulogie che accompagnano, in ambito islamico, la menzione dei nomi dei santi e dei Profeti, e specialmente del Profeta Muhammad, sigle che nella lettura risultano fastidiose e incomprensibili, dato che si finisce per non ricordare il loro significato, quale viene spiegato in nota all’inizio del testo. Meglio allora tradurle per esteso laddove non siano di ostacolo alla scorrevolezza del periodare italiano, e non tradurle altrove, avvalendosi del principio legale secondo il quale nemmeno nel caso della citazione del nome di Muhammad (su di lui la preghiera e la pace divine!) è strettamente obbligatorio mettere per iscritto la formula sallâ Allahu ‘alayhi wa sallama (come si deduce chiaramente dal commento di Ibn Kathîr al versetto XXXIII 56), mentre permane necessaria la sua pronuncia da parte tanto di chi scrive quanto di chi legge; in questo modo, si abituerà il pubblico italiano ad un particolare rispetto della figura profetica, ma senza spezzare la continuità del testo, o imporre la presenza di ‘cifre’ inevitabilmente astruse. E tuttavia, nonostante quanto detto i Quaranta hadith tradotti da Sabri rimangono un libro notevole, uno dei pochi testi presenti nel panorama librario italiano che presentino gli hadith profetici in maniera tutto sommato onesta e comprensibile. |