“… Iperborea, regione mortale dei grandi capi dell’intelligenza, luogo natio dei figli della pietra, e solo i santi nascon dalla pietra. Iperborea, bianco-nero, oro-argento, manifestazione, non-manifestazione, tristezza che trascorre e va tentoni …” N. Stănescu, Unsprezece elegii
Vasile Lovinescu (Geticus): La Dacia iperborea Parma 1995, Edizioni all’insegna del Veltro, 123 pagg., (in distribuzione) - € 15,00
Raccolta di articoli pubblicati tra il 1936 e il 1937 su Etudes traditionelles dal rumeno Vasile Lovinescu, con lo pseudonimo di ‘Geticus’. Gli articoli formano un piccolo, convincente ed efficacissimo trattato di geografia sacra, avente ad oggetto il Centro spirituale di origine ‘iperborea’ attivo in quello che era il territorio dell’antica Dacia (corrispondente in linea di massima alle attuali Romania e Moldavia) sino a tempi recenti (e sicuramente sino alla metà del XIX secolo). Lovinescu si basa su una considerazione fondamentale: “La Terra è un organismo spirituale, sottile e corporeo. Essa ha delle linee di forza, dei nodi di potenza” che è necessario “slegare, canalizzare, sublimare, riassorbire,” ma “naturalmente non distruggere” (p. 48).
Detto questo, e riallacciandosi agli insegnamenti di René Guénon, l’autore considera l’esistenza di una ‘Tradizione primordiale’ localizzata inizialmente nell’estremo Nord iperboreo, e quindi mano a mano dislocatasi in zone sempre più meridionali, analogamente (e conformemente) alla discesa ‘ciclica’ descritta in maniera chiarissima dalle Scritture indù. “Uno degli aspetti più interessanti della manifestazione ciclica è costituito dalla grande migrazione iperborea. Quest’ultima è una ‘discesa’ dall’indistinzione polare primordiale nelle molteplici manifestazioni secondarie del ciclo”. Nel corso di questa migrazione, “le montagne, le acque, il luoghi geografici, i loro nomi, i centri, i supporti spirituali di una tappa avevano virtù analoghe a quelle delle tappe precedenti” (p. 17-18). Più in particolare, “la migrazione iperborea fu verticale fino al punto in cui essa incontrò il 45° parallelo, a eguale distanza fra il Polo e l’Equatore. Là essa si diramò secondo linee orizzontali” (p. 47). Una delle tappe di tale migrazione (e della conseguente dislocazione dei Centri spirituali) è costituita dunque dalla Dacia (o Romania), come attestano le numerosissime coincidenze nelle denominazioni dei luoghi, prima tra tutte quella della più santa delle montagne rumene, il monte Om, sulla cui cima “c’è un omphalos gigantesco di dieci metri d’altezza e venti di larghezza”, che è il geticus polus di cui parlavano i latini, “ed è chiamato dal popolo ‘Asse del mondo’ e ‘Ombelico della Terra’ ”; e il nome di questa montagna corrisponde esattamente al monosillabo sacro dell’Induismo! L’ipotesi della presenza in Dacia di un Centro spirituale di primaria importanza è validamente sostenuta da tutta una serie di considerazioni riguardanti ad esempio la numismatica sacra e i miti di fondazione dei principati valacchi, moldavi e transilvani. Ma dal nostro punto di vista, il dato più importante a tale proposito è costituito dalla vitalità e dalla forza di tale Centro spirituale, quale si può riscontrare anche di recente da indizi numerosi. Uno di questi è costituito dal “profondo simbolismo iniziatico” contenuto nel racconto intitolato Harap - Alb (che significa qualcosa come ‘Nero-Bianco’), scritto nel 1877 dal romanziere rumeno Ion Creangâ (il cui vero cognome era Stefanescu), al quale Geticus dedica gli ultimi due articoli raccolti ne La Dacia iperborea.
L’autore: Vasile Lovinescu nacque nel 1905 a Falticeni, nel nord della Moldavia. Interessatosi ben presto alle Dottrine tradizionali, e dopo un infruttuoso tentativo di contatto con quanto resta dell’iniziazione cristiana, nel 1936 entrò nell’Islam con il nome di ‘Abdu l-Qâdir, ed aderì al Tasawwuf ricollegandosi alla Tarîqa ‘Alâwiyya, diramazione della Shadhiliyya che prende il nome dal noto Maestro algerino Ahmad Al-‘Alâwiyy; di questa confraternita sarà anche rappresentante (muqaddim) in Romania. In quegli anni fu in stretto rapporto epistolare con René Guénon, che gli fece pubblicare diversi articoli su Etudes Tradionelles. Ebbe un’intensa attività come “autore di saggi e ricerche riguardanti per lo più l’etnografia e la favolistica della Romania”, come dice il suo traduttore italiano, Claudio Mutti. Nonostante il suo appoggio al governo nazional-legionario (peraltro limitato all’ambito locale, dato che fu Sindaco di Falticeni tra il 1940 e il 1941), fu lasciato sostanzialmente in pace dai governi comunisti, e a partire dal 1958 si riunì attorno a lui una cerchia di discepoli. Morì nel 1984.
“Si tratta di un saggio che prendendo le mosse dalla figura di Traiano (98-117), riguarda la funzione sacrale degli Imperatori romani, una funzione nella quale il rapporto tra autorità spirituale e potere temporale si risolve in unità. Lo studio comporta alcune riflessioni sulla Dacia, su cui si innesta una interessantissima digressione sulla sinergia e sull'antagonismo che si instaurarono tra il messianismo dell'Impero romano e quello semitico-cristiano. La presenza di una delle prime icone cristiane sulla colonna di Traiano costituisce per l'appunto un sigillo di tale sinergia. Anche se ciò potrà a prima vista apparire fantasioso, l'Autore adduce argomentazioni che dal punto di vista simbolico sono ineccepibili.” dalla nota introduttiva di Mircea Remus Birtz
Vasile Lovinescu (Geticus): La colonna traiana Parma 1984, Edizioni all’insegna del Veltro, 117 pagg., (in distribuzione) - € 15,00
La colonna traiana raccoglie le lezioni che Vasile Lovinescu tenne nel 1968 alla ‘Confraternita di Iperione’, una cerchia di discepoli che si riuniva con regolare periodicità a Bucarest per approfondire lo studio delle dottrine tradizionali. Nella prima parte, il testo considera la Colonna traiana, costruita per celebrare la conquista della Dacia da parte dell’imperatore Traiano nel 106 d.C. La ragione profonda della sua costruzione è posta in relazione all’incorporazione da parte dell’Impero romano dei Centri spirituali ‘iperborei’ daci (e del ‘Polo’), in vista dell’innesto del Cristianesimo “sul tronco della Tradizione primordiale”.
Alla colonna stessa appartiene evidentemente un simbolismo assiale (e polare). Essa inoltre, con la sua forma cilindrica attorno alla quale si dipanano a spirale la raffigurazioni riguardanti diversi episodi correlati alla conquista della Dacia, rappresenta un esempio unico nel suo genere (perlomeno in Occidente) di un simbolismo ‘bellico’ legato ad una Dottrina metafisica (oltre che cosmologica) completa: la guerra dacica (che come ogni altra opposizione o lotta che ha luogo in questo mondo evidentemente ha come caratteristica la dualità) “si sviluppa lungo gli stati indefiniti dell’Essere, attorcendosi in senso ascendente intorno all’asse comune di questi ultimi”; essa “è la guerra del cosmo intero, dello sviluppo spiraloideo del divenire intorno all’Asse immobile del mondo” (p. 35). Di particolare interesse inoltre le considerazioni di Lovinescu riguardanti una figura scolpita presente nella Colonna (che secondo una teoria accreditata dall’autore mostrerebbe il Cristo in atto di ‘benedire’ alcuni uomini, interpretati come rappresentanti della Tradizione della Dacia), oltre a quelle aventi ad oggetto da una parte l’importanza di Troia come “punto collettore della luce dei centri spirituali iperborei”, luce che essa “distribuiva, per rifrazione, al mondo mediterraneo” (p. 40), e dall’altra la fondazione di Roma come riposizionamento di tale ‘punto di luce’. Lovinescu mostra in generale una profonda capacità di cogliere le realtà spirituali nelle caratteristiche modalità in cui si esprimevano nel mondo ‘antico’ (ma anche, e in particolare, nella ‘enclave spirituale’ della Dacia-Romania), facendo comprendere il loro rapporto con la Dottrina metafisica eterna ed universale. Da rimarcare comunque come nella seconda parte del libro lo svolgimento dell’autore si faccia ‘provocatorio’, laddove la constatazione della presenza nell’antichità classica di Vie di Realizzazione dirette lo porta ad una svalutazione esagerata del Cristianesimo (anche se non certo del Cristo), visto pur nella piena ammissione della necessità ciclica come pura perdita rispetto alle possibilità che ancora permanevano: come se non fosse stata proprio la decadenza intellettuale comunque prevalente nell’antichità pre-cristiana a rendere oltremodo opportuna l’‘importazione’ dal vicino Oriente di una forma tradizionale religiosa, benché dalle caratteristiche in qualche modo limitative, e come se non fosse stato proprio il mondo tradizionale cristiano ad essere stato uno degli alvei in cui si sarebbe poi conservato ciò che v’era di spiritualmente vitale nell’antichità greco-romana (almeno sino alla ‘rottura’ antitradizionale che ha avuto il suo momento cruciale nel ‘300, con la distruzione dell’Ordine del Tempio). Ed è davvero ‘provocazione’, nei due significati cui il termine può alludere: quello di parole in qualche modo ‘irritanti’ e quello di una pro-vocatio, e cioè una ‘chiamata’ (vocatio) atta a suscitare una certa reazione. Si tratta in effetti di un discorso contenente in qualche sua parte, come abbiamo detto, elementi non sempre convincenti, ma i cui argomenti paiono avere lo scopo preciso di causare una scossa benefica in chi ascolta e in chi legge, specialmente nel senso dell’abbandono di un certo ‘vestito mentale’ appiattito su di una versione banalizzata dell’exoterismo cristiano. Così quello che rimane di questa lettura in una mente pronta è lo sprone ad aprire la propria capacità di comprensione alle modalità espressive tipiche di fasi cicliche precedenti la nostra, nelle quali il cielo era più vicino alla terra, e gli uomini più adatti a cogliere direttamente il simbolismo sempre cangiante delle molteplici manifestazioni dell’Uno. Per una presentazione dell’autore, si veda la recensione a La Dacia iperborea.
INDICE GENERALE: Nota introduttiva - La vita e i libri di Vasile Lovinescu - La Colonna Traiana - Cap. I Traiano e Rifeo Troiano - Cap. II Il messianismo nell’Impero Romano - Cap. III Cristianesimo e mondo antico - Cap. IV L'idea imperiale di Dante.