«Preleva delle loro ricchezze un’elemosina (sadaqa), per mezzo della quale li monderai e li purificherai, e compi la preghiera su di loro, perché le tue preghiere sono per loro un riposo. E Allah è Udente e Sapiente» (IX, 103). E per un’anima e Ciò che l’ha formata armoniosamente, e le ha ispirato la sua iniquità e il suo pio timore. Chi la purificherà (zakkâ-hâ) conoscerà il successo, e chi cercherà di mantenerla per sé sarà deluso» (XCI, 7-10)
‘Abdu r-Razzâq Yahyâ (Charles-André Gilis): Metafisica della zakât Campegine (RE) Giugno 2014, Edizioni Orientamento/Al-Qibla, 169 pagg., - € 16,50 - ISBN 9788889795163
La zakât è l’‘elemosina rituale’ e fa parte dei ‘pilastri’ dell’Islam; il termine deriva da una radice araba avente il senso di ‘purificazione’. Sulla base dell’opera di Ibn Arabî (ma anche di quella di René Guénon e di Michel Vâlsan, nell’Islam Sheykh Abd al-Wâhid Yahyâ e Sheykh Mustafâ Abd Al-Azîz), Gilis la considera principalmente come il ‘diritto di Allah’ che deve essere riconosciuto tanto sulle ricchezze quanto sull’anima stessa dell’uomo, e va alla ricerca delle implicazioni di ordine ‘metafisico’ che se ne possono legittimamente dedurre. “La zakât iniziatica,” dice Gilis, “appare essenzialmente come una purificazione rispetto a tutto ciò che è ‘illusione’, il che è come dire che la dottrina che vi si riferisce è una dottrina della realizzazione attraverso la Conoscenza.”
... Definita come il diritto di Allâh, la zakât è l’essenza della Via iniziatica; essa concerne sia la realizzazione spirituale e metafisica che il governo esoterico del mondo (tasarruf). Il diritto di Allâh sulle ricchezze non è che una modalità di quello che l’Altissimo detiene sulle anime. Il riconoscimento del diritto divino in ogni dominio ed a proposito di ogni questione particolare esprime la servitù perfetta di colui che ha raggiunto il grado supremo. La metafisica della zakât non è un modo tra gli altri di prendere in considerazione la zakât: è l’essenza stessa di questa. Il termine ‘metafisica’ si riferisce alla zakât in ragione della sua costituzione etimologica, perché designa ciò che è ‘aldilà’ (è il senso del greco meta) del dominio fisico, che è quello della Natura primordiale (tabî‘a). La zakât è la realizzazione del tawhîd, ed è anche il vero jihâd: «Conducete il jihâd in Allâh secondo la verità del Suo jihâd (wa jâhidû fî-Llâhi haqqa jihâdi-Hi» (XXII, 78). La formula del tahlîl, lâ ilâha illâ Allâh [‘non v’è divinità all’infuori di Allah’, o ‘non v’è divinità se non Allah’], è per eccellenza quella della zakât metafisica ed iniziatica. Ricordiamo che lo Shaykh Mustafâ Abd al-‘Azîz [Michel Vâlsan] stabiliva una correlazione tra i quattro termini di questa formula ed i riti fondamentali sui quali, secondo la parola profetica, l’Islâm è stato costruito, e cioè rispettivamente il digiuno, la preghiera rituale, l’elemosina legale e il pellegrinaggio. La zakât corrisponde al termine illâ (‘se non’, [‘ad eccezione di’]): esteriormente perché non v’è elemosina legale se non nel caso in cui vi sia un ammontare minimo di ricchezza; spiritualmente perché illâ esprime il ‘capovolgimento’ che opera la purificazione rituale e la trasformazione, il passaggio dall’illusione alla realtà... (dall'introduzione dell'autore).
INDICE GENERALE: 1. Introduzione generale - 2. I gradi della zakât - 3. La poesia introduttiva - 4. Gli otto tipi di doni - 5. La zakât legale: Le condizioni essenziali ; Coloro che devono la zakât ; I beneficiari; I beni imponibili - 6. La zakât spirituale - 7. La zakât iniziatica - 8. Zakât diverse - 9. La zakât universale - 10. Il diritto di Allâh - 11. La fine dell’immunità - Indice tematico. Indice dei versetti del Corano. Indice generale.
Per il fatto stesso che l’insegnamento di Guénon procede non da una certa ‘Via’ o da una certa forma tradizionale, ma dal loro Centro comune, l’entrata in una organizzazione determinata comporterà necessariamente per l’aspirante un certo ‘sacrificio’, che sarà come il fermento spirituale del suo ricollegamento. D’altronde non si tratta qui soltanto dell’abbandono di un approccio puramente teorico alla Verità, bensì di una vera sacralizzazione di questo stesso insegnamento, nonché della sua integrazione nella vita rituale e nelle formulazioni provvidenzialmente rivelate. Esso manifesterà allora delle possibilità di applicazione e di rivivificazione tradizionale insospettate da coloro che non sono andati al di là di una semplice assimilazione mentale dell’opera guénoniana.
‘Abdu r-Razzâq Yahyâ (Charles-André Gilis): Introduzione all’insegnamento ed al mistero di René Guénon Campegine (RE) 2013, Edizioni ‘Orientamento/Al-Qibla’, 179 pagg., - € 16,50 - ISBN 9788889795118
Introduzione dell'Editore Il presente testo è costituito da uno studio di Gilis risalente al 1986, e quindi pubblicato in seconda edizione nel 2001 con qualche ritocco e assieme ad una nuova prefazione, e a due ‘allegati’: una recensione critica di Élie Lemoine e la rispettiva replica di Gilis. Si tratta a nostro avviso di un libro di estrema importanza, perché ripercorre l’intera ‘carriera tradizionale’ di René Guénon, proclamando con nettezza il carattere fondamentale ed ineludibile proprio degli studi guénoniani per la comprensione profonda delle Tradizioni divine e della natura della mentalità attualmente dominante, nonché l’ispirazione ‘profetica’ (nel senso di quella che nell’Islam è chiamata ‘profezia generale’) che ad essi presiede, ed esponendo chiaramente la finalità della sua opera.
Questo da un punto di vista non condizionato da pregiudizi ‘moderni’ di vario genere, quali quelli propri di molti occidentali (e anche di coloro che pure asseriscono di riferirsi in parte al grande metafisico francese), pregiudizi che vengono denunciati smascherando i vari tentativi di mistificazione e di ‘desacralizzazione’ della funzione di Guénon, nei quali si tenta di assimilare il suo insegnamento ad un pensiero profano qualsiasi. D’altra parte non viene taciuta l’ostilità della quale di tanto in tanto l’opera di Guénon è oggetto anche in campo islamico per ignoranza, per incapacità a concepire ciò che supera l’idea che ci si è fatta della Religione (o della propria funzione all’interno di questa); e tuttavia Gilis afferma a chiare lettere che le dottrine esposte da Guénon, che costituiscono “la proclamazione pubblica, per la prima volta nella storia, di una dottrina della Verità universale”, non possono che appoggiarsi su di una “forma sacra universale (…), già presente” nel piano divino, l’Islam appunto, forma tradizionale “adeguata all’intero genere umano dal momento che il suo Profeta legislatore è stato inviato all’insieme degli uomini” (pagg. 15-6). Del resto, come Gilis dirà in un articolo pubblicato in seguito (nel 2004), “la funzione di René Guénon è inseparabile dalla rivelazione islamica,” e “l’universalità del suo insegnamento è l’espressione diretta dell’universalità dell’Islam.” Il testo di Gilis che pubblichiamo presenta comunque svariati spunti di interesse, e si sofferma su molte questioni: il fatto che le potenzialità e la ricchezza dell’opera guenoniana ancora non sono state percepite nella loro pienezza se non da pochi (pag. 26); il carattere non ‘sistematico’ e non accademico di tale opera, propriamente ‘ispirata’ (pag. 33); il vero e proprio svelamento, operato da Guénon, di tematiche tenute per lungo tempo celate, come quella del ‘Re del mondo’ (cap. II); il problema costituito da alcune affermazioni guénoniane nelle quali il ruolo delle Religioni in relazione alla Verità immutabile è considerato in modo negativo, laddove si mostra che affermazioni consimili si possono trovare non solo all’interno del Taoismo, ma anche “presso i più grandi maestri dell’esoterismo islamico”, e si riferiscono ad una dottrina che nell’Islam risulta inclusa “sin dall’origine nei dati più comuni della religione e della fede” (pagg. 60-1), come chi scrive la presente recensione ha potuto spesso notare nel suo studio dei commentari del Corano e degli hadith profetici; tutta una serie di importanti precisazioni relative a vari eventi avvenuti in concomitanza dell’inizio dell’attività di Guénon, e in special modo al tentativo di rivivificazione dell’Ordine del Tempio (cap. VI); l’errore proprio di coloro che negano la qualità islamica di Guénon (pag. 82); il motivo per cui all’inizio della ‘carriera tradizionale’ di Guénon è ravvisabile un intervento di influenze spirituali islamiche, indù e taoiste, nonché proprie dell’antico centro ritirato della tradizione occidentale, mentre Cristianesimo e Buddhismo non hanno parte in questo (pagg. 117 e segg.); la necessità ‘operativa’ di effettuare un ‘adattamento’ delle nozioni guénoniane in particolare a quelle islamiche, dal momento che il linguaggio utilizzato da Guénon non sempre coincide con quello delle ultime rivelazioni (pagg. 141-2). A proposito del carattere pretenzioso delle critiche mosse a Guénon (specialmente da depositari di concezioni profane, e comunque inesatte e spesso frutto di visioni settarie o della grande limitatezza, dal punto di vista metafisico, degli universitari), Gilis dedica due capitoli a mostrare a titolo esemplificativo, contro i loro detrattori di parte cristiana, l’esattezza delle intuizioni guenoniane relative all’incarnazione (cap. X) e alle origini della rivelazione cristiana (cap. XI).
dal Capitolo primo - L'insegnamento e la funzione L’insegnamento di René Guénon è l’espressione particolare, rivelata all’Occidente contemporaneo, di una dottrina metafisica ed iniziatica che è quella della Verità unica ed universale. Esso è inseparabile da una funzione sacra, di origine sovra-individuale, che Michel Vâlsan ha definito come un “richiamo supremo” alle verità detenute, ancora ai giorni nostri, dall’Oriente immutabile, e come un’ultima “convocazione” che comporta per il mondo occidentale un avvertimento ed una promessa, nonché l’annuncio del suo “giudizio”. Per quanto semplice ed evidente possa essere, questo modo di comprendere l’opera guénoniana è generalmente misconosciuto o negletto nelle presentazioni che ne vengono date. Soprattutto negli ultimi anni, queste si sono distinte per il loro numero piuttosto che per la loro qualità, ognuno autorizzandosi di propria iniziativa a dissertarne, o a giudicarla. Eppure quanti, fra coloro che le si avvicinano, si preoccupano davvero di afferrarne l’intento e di rispettarne la portata? Il più delle volte si constata l’esatto contrario: una deliberata volontà di aggirare l’insegnamento di Guénon e di desacralizzare la sua funzione. I procedimenti utilizzati per giungere a tanto non variano: si mette l’accento sugli aspetti psicologici e biografici, al punto che certi lavori universitari hanno integrato alla rinfusa analisi grafologica e tema astrale! Si cerca anche di spiegarne l’opera basandosi su fonti storiche; si utilizza senza discernimento, ma non senza intenzioni occulte, un metodo per l’interpretazione dei testi letterari i cui limiti sono noti a tutti, per recensire degli scritti la cui ispirazione è essenzialmente diversa. L’insegnamento tradizionale cui Guénon si riferisce è assimilato di fatto ad un pensiero profano ed è trattato di conseguenza: si criticano una moltitudine di dettagli, in modo da metterne in discussione la scienza e ridurre l’autorità dei suoi giudizi. Ma c’è qualcosa di più grave ancora. Sin dal 1973 Robert Amadou poneva la domanda “Pro o contro Guénon?”, e questo con l’intenzione conclamata di dimostrare che “il guénonismo non equivale alla tradizione”, ciò che non è se non un’affermazione lapalissiana, ma che permette di evitare abilmente il punto essenziale, cioè il legame indissolubile che unisce l’insegnamento di Guénon alla funzione centrale che egli rappresenta per l’Occidente. Un tale interrogativo cela in realtà una trappola, nella quale sono caduti quelli che s’immaginano che basti mettersi dalla parte dei ‘difensori’ della sua opera per poter affrontare il dominio delle verità essenziali di cui essa è il veicolo. Conviene precisare, ahinoi, che oggi non sussiste più, nella maggior parte dei casi, nessuna relazione fra la qualità di ‘guénoniano’ ed il rispetto autentico della Tradizione e delle sue esigenze. Non v’è dunque qui nessun altro criterio se non quello della fedeltà scrupolosa e totale alla Dottrina che, per sua stessa essenza, non ha nulla in comune con lo spirito sistematico, o con un qualsiasi settarismo. Ne consegue che, se è opportuno ricordare che il “guénonismo non equivale alla tradizione”, si dovrà subito aggiungere, per evitare ogni equivoco, che l’interrogativo “pro o contro Guénon?” è il prototipo stesso di un dilemma antitradizionale e sovversivo, dato che non lascia scelta che fra l’ostilità e la caricatura. L’insegnamento trasmesso da René Guénon esige prima di tutto di essere riconosciuto e seguito: ci si impone in virtù della forza della Verità. Coloro che lo rifiutano, con ciò stesso si squalificano: come potrebbero ancora pretendere di operare in modo efficace e duraturo nella via che egli ha tracciato in vista del raddrizzamento tradizionale del mondo occidentale? È Guénon che ha stabilito i principi e determinato i criteri, di modo che coloro che vengono dopo di lui devono forzatamente mettersi nella prospettiva delle applicazioni contingenti e delle conseguenze che si possono dedurre dai suoi scritti. Di fatto, i suoi successori hanno dovuto posizionarsi e determinarsi in rapporto a quel che egli ha rappresentato, mentre egli stesso, per tutto il tempo della sua carriera terrena, non si è mai veramente determinato se non in riferimento alla Tradizione. La volontà di minimizzare e di ridurre l’autorità di Guénon, il diritto proclamato ad alta voce (ovvero rivendicato a bassa voce da parte di coloro che esitano a spingere la sconvenienza fino all’insolenza) di “guénonificare solo in una determinata occasione, oppure di tanto in tanto, senza essere guénoniani”, l’assimilazione del tutto superficiale stabilita fra la sua opera e quella di altri autori o ‘pensatori’ di origine occidentale, sono entrambe cose che si basano in ultima analisi su di un malinteso. Non si può paragonare se non ciò che è paragonabile: l’insegnamento di Guénon non può esser compreso né ‘inquadrato’ validamente da un punto di vista tradizionale che per analogia con altri che siano dello stesso ordine, come ad esempio quello di Dante. La sua funzione infatti dipende in effetti da un dominio che l’esoterismo islamico designa col termine Tasarruf. Si tratta, come ha indicato Michel Vâlsan, del “governo esoterico degli affari del mondo”, il che non ha nulla in comune con il fatto di guidare dei discepoli sulla via della realizzazione metafisica, ma implica in compenso un’autorità indiscutibile, tanto nell’ordine della dottrina pura quanto in quello della determinazione delle norme e dei criteri destinati a suscitare, ad ispirare ed a legittimare l’azione. Se le funzioni di ‘guida’ e di ‘governo’ possono coincidere in uno stesso essere, è comunque importante distinguerle con la massima cura, e precisare che un’investitura od una competenza esercitate validamente in uno dei due domini non comporta per ciò stesso la possibilità ed il diritto d’intervenire nell’altro.
La dottrina metafisica e la norma tradizionale non hanno di certo avuto inizio con Guénon, che ha avuto l’incarico di enunciarle e di rappresentarle di fronte alla deviazione ed alla sovversione del mondo moderno. All’interno di quest’ultimo, la sua opera si presenta come eccezionale ed insostituibile, tanto per la sua portata quanto per la sua levatura. È aberrante volerne diminuire l’effetto e l’influenza quando si è incapaci, tanto di fatto quanto di diritto, di sostituirla con qualcosa di equivalente. È importante ricordarlo con tutta la chiarezza necessaria: l’Occidente non ritroverà la sua vocazione ed il suo orientamento tradizionali se non nel rispetto della funzione di René Guénon, e grazie ad una fedeltà senza incrinature al suo insegnamento. La sua autorità nell’ambito del Tasarruf non è dimostrabile, a causa della stessa fonte che le è propria: essa permane intrinseca ai suoi giudizi, la cui verità s’imporrà soltanto allorché il corso delle cose l’avrà verificata e resa esplicita, in un modo o nell’altro. Se si obietta che questa è una ‘petizione di principio’, risponderemo che lo stesso vale per tutto ciò che è di origine tradizionale e non-umana, e che sfugge per questo motivo al controllo della ragione e della coscienza individuale. L’espressione ‘petizione di principio’ significa qui d’altro canto che si tratta effettivamente di ricorrere all’autorità principiale per accedere ad una verità che l’intelletto creato e condizionato è incapace di afferrare con le sue proprie forze. Cionondimeno, la funzione superiore che Guénon rappresenta per il mondo occidentale comporta, nei suoi interventi, un aspetto di luce e di misericordia, un’evidenza che lo sguardo interiore percepisce in modo tale da pacificare il cuore. Ogni rivelazione (e tale è stata la sua opera) è accompagnata da indicazioni e ‘prove’ che l’intelligenza riconosce facilmente quando è orientata da una retta intenzione.
Si deve notare prima di tutto che la ‘convocazione’ del mondo occidentale è formulata nei suoi libri in modo esplicito, e che le vie tracciate in vista del suo raddrizzamento tradizionale vi sono esposte dettagliatamente, con una precisione ed una chiarezza estreme. In questo campo più che in ogni altro nulla di ciò che Guénon ha affermato è stato lasciato al caso. La sua opera costituisce inoltre un’autentica summa dottrinale che integra e rende intelligibile, per un pubblico non preparato a comprenderle, tutto “l’insieme delle forme e delle idee tradizionali.” Vi è qui, come scriveva Michel Vâlsan, “il miracolo intellettuale più affascinante che sia stato presentato davanti alla coscienza moderna.” Miracolo di espressione, perché in questo ambito la maestria di Guénon è veramente prodigiosa: egli forgiava, con arte suprema e sovrana spigliatezza, i concetti che permettevano agli Occidentali di partire da ciò che conoscevano, in modo da condurli ad impadronirsi di ciò che ignoravano completamente, o che avevano dimenticato da molto tempo. Miracolo anche di apertura, perché i significati metafisici elevati dei quali tali concetti diventavano in tal modo i portatori, erano applicati in vista di un’interpretazione che illuminava i simboli di ogni ordine provenienti dalla Scienza sacra. Il suo lavoro perciò prendeva, questa volta sul piano formale, un significato universale, nella misura in cui offriva un metodo che poteva condurre ad una comprensione profonda, il più totale possibile, delle differenti Rivelazioni che dall’origine del ciclo umano sono state i veicoli ed i supporti della Dottrina immutabile; e ciò nel momento in cui l’invasione del mondo occidentale moderno le faceva per la prima volta coesistere, in un modo il più delle volte caotico, nella coscienza dei nostri contemporanei. Qui, ancora, l’apporto della sua opera è unico, perché gli autori che in Occidente si sono posti da un punto di vista diverso dal suo si sono per ciò stesso ridotti a non prendere in considerazione che degli aspetti più particolari: il fatto che questi aspetti siano apparentemente più adeguati per lo studio di tradizioni quali il Buddhismo ed il Cristianesimo, che come vedremo più avanti occupano un posto del tutto speciale all’interno dell’universo tradizionale, poteva dare l’illusione che si aveva in qualche maniera ‘corretto’ ciò che in Guénon sembrava a torto unilaterale ed incompleto. Al contrario, è il carattere universale e totalizzante del suo insegnamento a spiegare come quest’ultimo possa fornire le chiavi che permettono agli Occidentali di penetrare all’interno di qualsivoglia dottrina metafisica per mezzo della comprensione dei suoi aspetti fondamentali, e di interpretare secondo i loro autentici significati i simboli presenti nelle diverse forme tradizionali. Pochissimi tuttavia sono coloro che hanno potuto misurare da sé ciò che una tale possibilità contiene, prendendo così coscienza in modo diretto della ricchezza e della portata reali della summa guénoniana: non ci si meraviglierà del fatto che ai loro occhi le restrizioni più o meno interessate che ancora da più parti si cerca di assegnarle appaiano, a suo confronto, ben vane e di poco peso.
INDICE GENERALE: Prefazione dell’autore alla seconda edizione francese - Capitolo I - L’insegnamento e la funzione - Capitolo II - La questione del Re del Mondo - Capitolo III - Un’ispirazione profetica - Capitolo IV - L’iniziazione e l’investitura - Capitolo V - Unità e diversità dell’insegnamento - Capitolo VI - Sull’Ordine del Tempio - Capitolo VII - Il passaggio all’Islam - Capitolo VIII - L’enigma delle ‘condizioni dell’esistenza corporea’ - Capitolo IX - Discepoli e critici - Capitolo X - A proposito dell’Incarnazione - Capitolo XI - Le origini della religione cristiana - Capitolo XII - Osservazioni finali - Allegati - A proposito di un libro recente - Risposta ad Élie Lemoine.
Nei lignaggi più puri ed elevati del Tantrismo la fanciulla di nove anni è la teofania essenziale, l’identità segreta della Grande Dea e non è conosciuta esteriormente che per il suo attributo di Lalitâ, ‘Quella che gioca’. Essa manifesta l’autorità suprema assolutamente incondizionata dell’Essenza divina; fa sovranamente quello che vuole senza alcun arbitrio in un modo che sfugge ad ogni conoscenza esteriore. Pur comprendendo ogni cosa, essa resta incomprensibile. Non è ‘costretta’ dalla propria scienza perché è lei che determina ciò che può essere saputo e conosciuto. Iniziaticamente essa è il Maestro per eccellenza, del quale conviene ricercare la soddisfazione senza perseguire alcuna idea di retribuzione o di ricompensa. L’insieme degli esseri è sotto la sua dipendenza, di modo che essa non deve niente a nessuno. La via per pervenire a lei è quella della servitù perfetta. Essa può manifestarsi in modo sensibile, con un corpo vero, puro e ‘luminoso’, a colui che ha raggiunto l'effettiva Conoscenza suprema, quella dello shrî-vidyâ.
‘Abdu r-Razzâq Yahyâ (Charles-André Gilis): La fanciulla di nove anni (comprensivo di uno studio del medesimo autore sullo Zolfo Rosso e di una Postfazione dell’editore italiano) Campegine (RE) Gennaio 2012, Edizioni Orientamento/Al-Qibla, 127 pagg., - € 13,20 - ISBN 9788889795149
Lo studio di Gilis sulla Fanciulla di nove anni prende spunto da un’intuizione di Michel Vâlsan (nell’Islam Mustafâ ‘Abdu l-‘Azîz), che comprese la strettissima analogia esistente tra due visioni: da una parte quella riportata nelle prime pagine della Vita nova, in cui Dante vede apparire nella propria camera “uno segnore di pauroso aspetto” che afferma di esserne il dominus, e che tiene in braccio Beatrice, nella figura di una “persona” che dormiva “nuda” e avvolta “in uno drappo sanguigno leggermente”; dall’altra quella riportata nel Sahîh di Al-Bukhârî in cui l’Angelo mostra al Profeta Muhammad (su di lui la preghiera e la pace divine) la giovanissima ‘Aysha avvolta “in un drappo di seta (fî saraqatin min harîr)”, e gli dice: “Questa è tua moglie: scoprila.”
Partendo da questo, e svelato il carattere non certo casuale di tale coincidenza, Charles-André Gilis (‘Abdu r-Razzâq Yahyâ nell’Islam) sviluppa nel presente testo un’argomentazione che fa intervenire, a sicura prova di come la ‘fanciulla di nove anni’ possa simboleggiare una Teofania essenziale, un terzo elemento, dopo quello islamico e quello dantesco: si tratta della grande Dea del Tantrismo, conosciuta esteriormente con il nome di Lalitâ, ‘Colei che gioca’, e accomunata alle figure di ‘Aysha e di Beatrice tra l’altro anche dalla giovanissima età. Il volume è corredato da uno studio del medesimo autore sul simbolismo relativo alla denominazione di Zolfo Rosso, attribuita nell’esoterismo islamico ad Ibn ‘Arabî (studio apparso in Francia assieme a quello sulla Fanciulla in un’unica pubblicazione nel 2006, e ad esso collegato da diversi punti di vista), e da una Postfazione dell’editore italiano (nella quale si sviluppano alcune delle deduzioni che si possono trarre da quest’opera di Gilis, in particolare a proposito dell’origine ‘muhammadiana’ dall’influenza spirituale veicolata da Dante).
INDICE GENERALE: Nota introduttiva - La fanciulla di nove anni - 1. Una teofania singolare - 2. Nel Tantrismo contemporaneo - 3. Nell'opera di Dante - 4. Nell'Islam - 5. Lo statuto islamico della donna - "Lo Zolfo Rosso" - Postfazione dell'editore.