"Se il digiuno appare come il simbolo e il mezzo per eccellenza della Via metafisica, è anche perché si tratta di un segreto; esso non comporta nessuna manifestazione esteriore, e permane ‘esoterico’ nel senso letterale e completo del termine. È metafisico nella sua essenza, perché non appartiene all’ordine naturale e manifesta direttamente la trascendenza divina."
Ibn Arabî: Testi sul digiuno, tradotti e presentati da ‘Abdu r-Razzâq Yahyâ (Charles-André Gilis) Campegine (RE) Settembre 2016, Edizioni Orientamento/Al-Qibla, 88 pagg., € 12,50 - ISBN 9788889795194
Presentazione dell'Editore
Questo libro fu pubblicato per la prima volta in Algeria nel 1989, e consiste in una scelta di testi riguardanti il digiuno islamico tratti dalle Futûhât di Ibn ‘Arabî, tradotti in francese, introdotti ed annotati da Charles-André Gilis, nell’Islam ‘Abdu r-Razzâq Yahyâ. Esso costituisce in ordine di tempo il primo di una serie di studi che Gilis sta dedicando (sotto forma di ‘traduzioni commentate’ di testi ibnarabiani, o di elaborazioni diciamo autonome, per quanto sempre ‘tradizionali’) a diversi aspetti fondamentali dell’Islam, studi che si affiancano a quelli più specificamente dedicati all’esoterismo islamico (tra i quali decisamente notevole è la traduzione commentata dei Fusûsu l-hikam di Ibn ‘Arabî), e a quelli in cui Gilis cerca di orientare il lettore ad una conoscenza maggiormente ‘operativa’ dell’opera di Guénon (svelandone tra l’altro la ‘finalità’ islamica), e di Vâlsan.
A proposito di questo filone dell’opera di Gilis, che riguarda più direttamente i fondamenti dell’Islam, già abbiamo tradotto e pubblicato per la nostra casa editrice le opere riguardanti il Pellegrinaggio (dal titolo “La dottrina iniziatica del Pellegrinaggio”), la concezione tradizionale di ‘Califfato’ (“I sette stendardi del Califfato”) e la zakât, o elemosina rituale (“Metafisica della Zakât”); per altri editori sono apparsi poi “Lo Spirito universale dell’Islam” e “Integrità islamica: né integralismo né integrazione”. Altri testi non ancora tradotti in italiano concernono la preghiera comunitaria del Venerdì, la preghiera sui defunti, la nozione di al-Haqq (Allah in quanto ‘Vero’ che annienta il falso), i concetti di ikhlâs (‘dedizione totale’, ‘culto purissimo’) e di tawhîd (dottrina dell’‘Unità’), il Corano e le ‘attestazioni dell’Unità’ in esso presenti.
Si tratta a nostro avviso di libri di importanza fondamentale: infatti in essi Gilis parte invariabilmente da testi o brani di Ibn ‘Arabî (il ‘sommo Maestro’, ash-Shaykhu l-akbar, dell’esoterismo islamico), che diventano il supporto di un lavoro di chiarimento dei vari aspetti dell’Islam, nel loro significato più profondo, per mezzo della terminologia e dei concetti presentati in Europa da René Guénon (nell’Islam ‘Abdu l-Wâhid Yahyâ) con il fine di spiegare le realtà tradizionali ad un mondo che ne è sempre più dimentico, e secondo un ‘metodo’ di cui Michel Vâlsan (Mustafâ ‘Abdu l-‘Azîz) è stato il precursore. Se si pone mente al rango di questi Maestri, e più ancora alle loro rispettive funzioni, non stupirà se l’opera di ‘coniugazione’ proposta da Gilis apra la porta a prospettive nuove e per certi versi anche sorprendenti: se infatti da una parte si disserrano (avvalendosi principalmente dell’opera ibnarabiana) i segreti più profondi dell’Islam, e se dall’altra essi vengono poi per così dire palesati nel loro significato più universale (utilizzando la presentazione guenoniana dei principi fondamentali della Tradizione, ed il linguaggio a tale presentazione più consono, secondo il ‘metodo’, dicevamo, di Vâlsan), si può finalmente giungere a quella che abbiamo chiamato una ‘coniugazione’, una coniugazione cioè del ‘verbo’ islamico nelle forme più consone alla situazione attuale, in vista dell’assunzione apertamente visibile, da parte della Religione islamica, del suo ruolo di Tradizione finale, e dunque necessariamente ‘ricapitolativa’ delle forme che la precedono, ed altrettanto necessariamente affermativa delle prerogative sue proprie.
Non si creda che sia un’opera facile: proprio i libri di Gilis stanno a testimoniare come si tratti di un lavoro che esige grande attenzione, se non si vuol venir meno al compito che ci si è prefissi: da una parte infatti i più profondi significati dell’Islam sono spesso contenuti in dati tradizionali non ben conosciuti in Occidente, o si trovano nascosti nelle pieghe della lingua araba del Corano e degli hadith, così che parlarne rende necessario dispiegare tali dati e presentare le possibilità espressive dell’arabo, in un’argomentare che può risultare sulle prime piuttosto arduo (e certamente seccante per il lettore europeo avvezzo a non far sforzi e a leggere … quanto già si aspetta di trovare); d’altra parte, i necessari riferimenti universalizzanti e metafisici, espressi nel linguaggio guenoniano, possono suscitare fastidio o anche rifiuto nel lettore musulmano non abituato a certi paralleli e ad un certo modo di esprimersi. In un caso e nell’altro, per quanto si abbia cura di facilitare nei limiti del possibile la comprensione dei testi (ed il superamento di quanto, del senso di fastidio o di repulsione, possa essere causato non da odio per la Tradizione ma da errati accostamenti, o da diffidenze che, se spesso hanno fondato motivo, qui risultano male indirizzate), pure si dovrà tirare diritto e dire quello che va detto, se veramente il fine è quello di conformarsi al Vero senza temere, per usare un’espressione coranica, ‘il biasimo dei biasimatori’: è certo infatti che se ci si priva della ‘base’ islamica si dà un’indicazione errata (perché si oscura al lettore l’accesso alla ‘scala’ provvidenzialmente posta a conformarsi alla Realtà divine ed a salire alla Conoscenza), come si dà un’indicazione errata se si elimina il riferimento esplicito, espresso in un linguaggio adatto alla situazione attuale (che vede la compresenza di varie Tradizioni), alle Dottrine metafisiche (perché così si tarpano le ali a chi è in grado di coglierle).
Tale ‘tirare diritto’ ignorando il biasimo di lettori male avvertiti è il segno che caratterizza i libri veramente ‘operativi’, nel senso dell’avvicinamento a Dio e alla Conoscenza, i libri dunque che portano vero soccorso intellettuale: e certamente i libri di Gilis ne fanno parte. Nel presente testo, Gilis traduce e presenta diversi brani di Ibn ‘Arabî tratti dalle Futûhât, ed aventi ad oggetto il digiuno, con particolare riferimento al digiuno obbligatorio del mese di Ramadan. Nella sua bellissima Introduzione, dove si riassumono e si interpretano le tematiche poi esposte dal ‘sommo Maestro’, Gilis pone l’accento sul carattere al contempo universale e metafisico del digiuno; e se sull’universalità del digiuno non c’è bisogno di spendere molte parole (dal momento che essa è affermata a chiare lettere dal Corano stesso laddove dice «O voi che avete fede, vi è stato prescritto il digiuno come è stato prescritto a coloro che vennero prima di voi», II, 183), è sul suo carattere ‘metafisico’ che si concentra l’argomentazione di Gilis, riflettendo come specchio fedele quella di Ibn ‘Arabî. Ora, il digiuno consiste, secondo la definizione ibnarabiana, in “un’astinenza (imsâk) che procura a coloro che digiunano un’elevazione (rif‘a) presso Allah l’Altissimo.” I due termini ‘astinenza’ ed ‘esaltazione’ sono in realtà complementari nel digiuno: l’astinenza infatti, dice Gilis, “è il punto di partenza di ogni sviluppo spirituale”, e fa sì che il digiuno inteso iniziaticamente rappresenti “il rigetto dell’insieme delle condizioni limitative, qualsiasi esse siano”, ciò che è in effetti già ‘esaltazione’, e cioè superamento delle limitazioni proprie dell’essere individuale (ciò che ben si comprende se si riflette sul fatto che nel digiuno islamico “i divieti divini riguardano soltanto le modalità corporea e sottile della condizione umana”). Così, “il digiuno ha per effetto immediato di rivelare all’uomo la dimensione ‘verticale’ e sovra-individuale del proprio essere”, e grazie ad esso “l’uomo si libera dai desideri e dalle passioni della propria anima”, in modo tale che “il suo cuore si placa” e “si sottomette senza difficoltà all’Ordine divino.” Si comprende allora come, quanto meno virtualmente, “la qualità divina realizzata dal digiunante” sia “la trascendenza” (ciò che diviene chiaramente effettivo nella pratica del ‘digiuno continuo’, wisâl, propria del Profeta, come anche di Gesù, sayyidu-nâ ‘Îsâ). Inoltre, “se il digiuno appare come il simbolo e il mezzo per eccellenza della Via metafisica, è anche perché si tratta di un segreto; esso non comporta nessuna manifestazione esteriore, e permane ‘esoterico’ nel senso letterale e completo del termine. È metafisico nella sua essenza, perché non appartiene all’ordine naturale e manifesta direttamente la trascendenza divina.”
Passando più in specifico al digiuno di Ramadan, prima viene brevemente considerata la sua relativa eccellenza nei confronti di altre due opere obbligatorie (la preghiera e il Pellegrinaggio), quindi si fa notare lo stretto legame (segnalato da Ibn ‘Arabî, ma anche da molti altri testi tradizionali) che lega il ‘Ramadan’ (parola che tra l’altro è anch’essa, secondo un noto hadith profetico, un Nome divino) con as-Samad, Nome di Allah dal senso enigmatico, ma qui legato principalmente ai significati di ‘Sostegno universale’ e di ‘Essere trascendente’ che non ha bisogno di bere e di mangiare. Di seguito, essendo la giornata di Ramadan divisa tra una parte diurna (in cui in effetti si digiuna) ed una notturna (in cui si mangia e si beve, e in cui è raccomandato vegliare), si considera come il Ramadan riassuma in sé la ‘Via ascendente’ (legata necessariamente al “rigetto di ogni condizione limitativa”, e dunque al digiuno diurno), e la ‘Via discendente’ (con la rottura del digiuno, e soprattutto con la rivelazione del Corano, che ha luogo durante il mese di Ramadan, nella ‘Notte del Valore’, laylatu l-qadr), o ancora come rappresenti “l’Unità divina del Principio e della Sua Manifestazione”, o, da un altro punto di vista, “l’Unità essenziale tra Allah (…) e il Suo Profeta”, laddove “all’Altissimo corrispondono il digiuno e la trascendenza del Mistero, e al Suo Beneamato”, e cioè al Profeta, “l’ampiezza misericordiosa, la concessione del cibo e l’immanenza della Rivelazione.”
Questi in estrema sintesi i principali temi dottrinali affrontati nell’Introduzione di Gilis, che fa da ‘specchio fedele’, come dicevano, e chiarificante dei testi ibnarabiani di seguito tradotti, e i cui significati potranno essere penetrati più agevolmente da lettore. Di tali testi, il primo consiste nella ‘Poesia iniziale’ del cap. 71 delle Futûhât (riguardante il digiuno); il secondo è dedicato alla ‘Definizione del digiuno’; il terzo alla ‘Forma spirituale del digiuno’; il quarto testo riguarda ‘Il digiuno di coloro che hanno conoscenza per mezzo di Allah’, coloro cioè che hanno Conoscenza metafisica; nel quinto e nel sesto si fa un parallelo tra ‘Digiuno e preghiera rituale’ (salât); nel settimo e nell’ottavo si considera ‘La fame’, e nel nono ‘Il mese di Ramadan’; il decimo testo infine è un ‘Commento dei versetti relativi al digiuno del mese di Ramadan’ e cioè dei versetti 183-187 della seconda Sura coranica, la Sura della Vacca Sacrificale.
INDICE GENERALE - Introduzione. Testi di Ibn Arabî - 1. La poesia iniziale - 2. Definizione del digiuno - 3. Forma spirituale del digiuno - 4. Il digiuno di coloro che hanno conoscenza per mezzo di Allah - 5 e 6. Digiuno e preghiera rituale - 7 e 8. Sulla fame - 9. Il mese di Ramadan - 10. Commento dei versetti relativi al digiuno del mese di Ramadan. Indice dei soggetti, dei nomi e dei termini arabi. Indice dei versetti del Corano.
«Preleva delle loro ricchezze un’elemosina (sadaqa), per mezzo della quale li monderai e li purificherai, e compi la preghiera su di loro, perché le tue preghiere sono per loro un riposo. E Allah è Udente e Sapiente» (IX, 103). E per un’anima e Ciò che l’ha formata armoniosamente, e le ha ispirato la sua iniquità e il suo pio timore. Chi la purificherà (zakkâ-hâ) conoscerà il successo, e chi cercherà di mantenerla per sé sarà deluso» (XCI, 7-10)
‘Abdu r-Razzâq Yahyâ (Charles-André Gilis): Metafisica della zakât Campegine (RE) Giugno 2014, Edizioni Orientamento/Al-Qibla, 169 pagg., € 16,50 - ISBN 9788889795163
La zakât è l’‘elemosina rituale’ e fa parte dei ‘pilastri’ dell’Islam; il termine deriva da una radice araba avente il senso di ‘purificazione’. Sulla base dell’opera di Ibn Arabî (ma anche di quella di René Guénon e di Michel Vâlsan, nell’Islam Sheykh Abd al-Wâhid Yahyâ e Sheykh Mustafâ Abd Al-Azîz), Gilis la considera principalmente come il ‘diritto di Allah’ che deve essere riconosciuto tanto sulle ricchezze quanto sull’anima stessa dell’uomo, e va alla ricerca delle implicazioni di ordine ‘metafisico’ che se ne possono legittimamente dedurre. “La zakât iniziatica,” dice Gilis, “appare essenzialmente come una purificazione rispetto a tutto ciò che è ‘illusione’, il che è come dire che la dottrina che vi si riferisce è una dottrina della realizzazione attraverso la Conoscenza.”
Definita come il diritto di Allâh, la zakât è l’essenza della Via iniziatica; essa concerne sia la realizzazione spirituale e metafisica che il governo esoterico del mondo (tasarruf). Il diritto di Allâh sulle ricchezze non è che una modalità di quello che l’Altissimo detiene sulle anime. Il riconoscimento del diritto divino in ogni dominio ed a proposito di ogni questione particolare esprime la servitù perfetta di colui che ha raggiunto il grado supremo. La metafisica della zakât non è un modo tra gli altri di prendere in considerazione la zakât: è l’essenza stessa di questa. Il termine ‘metafisica’ si riferisce alla zakât in ragione della sua costituzione etimologica, perché designa ciò che è ‘aldilà’ (è il senso del greco meta) del dominio fisico, che è quello della Natura primordiale (tabî‘a). La zakât è la realizzazione del tawhîd, ed è anche il vero jihâd: «Conducete il jihâd in Allâh secondo la verità del Suo jihâd (wa jâhidû fî-Llâhi haqqa jihâdi-Hi» (XXII, 78). La formula del tahlîl, lâ ilâha illâ Allâh [‘non v’è divinità all’infuori di Allah’, o ‘non v’è divinità se non Allah’], è per eccellenza quella della zakât metafisica ed iniziatica. Ricordiamo che lo Shaykh Mustafâ Abd al-‘Azîz [Michel Vâlsan] stabiliva una correlazione tra i quattro termini di questa formula ed i riti fondamentali sui quali, secondo la parola profetica, l’Islâm è stato costruito, e cioè rispettivamente il digiuno, la preghiera rituale, l’elemosina legale e il pellegrinaggio. La zakât corrisponde al termine illâ (‘se non’, [‘ad eccezione di’]): esteriormente perché non v’è elemosina legale se non nel caso in cui vi sia un ammontare minimo di ricchezza; spiritualmente perché illâ esprime il ‘capovolgimento’ che opera la purificazione rituale e la trasformazione, il passaggio dall’illusione alla realtà... (dall'introduzione dell'autore).
INDICE GENERALE: 1. Introduzione generale - 2. I gradi della zakât - 3. La poesia introduttiva - 4. Gli otto tipi di doni - 5. La zakât legale: Le condizioni essenziali ; Coloro che devono la zakât ; I beneficiari; I beni imponibili - 6. La zakât spirituale - 7. La zakât iniziatica - 8. Zakât diverse - 9. La zakât universale - 10. Il diritto di Allâh - 11. La fine dell’immunità. Indice tematico. Indice dei versetti del Corano. Indice generale.
Secondo le narrazioni tradizionali, quando l’Angelo Gabriele insegnò ad Adamo il modo di compiere i giri intorno alla Kaaba, questi gli chiese: “E cosa dite dunque (voi Angeli) quando girate intorno a questa Casa?” Gabriele, su di lui la Pace!, rispose: “Diciamo subhâna Allâh (gloria alla trascendenza di Allâh), al-hamdu li-Llâhi (lode ad Allâh), lâ ilâha illâ Allâh (non v’è Dio che non sia Allâh) e Allâhu Akbar (Allâh è il più grande).” Adamo allora disse: “E io vi aggiungo questa formula: lâ hawla wa lâ quwwata illâ bi-Llâh al-‘Alî al-‘Azîm (non v’è potenza né forza se non per mezzo di Allâh, l’Elevato, l’Immenso).”
‘Abdu r-Razzâq Yahyâ (Charles-André Gilis): I sette stendardi del Califfato Campegine (RE) 2009, Edizioni Orientamento/Al-Qibla, 277 pagg., € 20 - ISBN 9788889795057
Il termine ‘califfato’ richiama alla mente dei più un’istituzione politica, quale si espresse storicamente nell’Islam dall’epoca dei quattro ‘Califfi’ ben guidati (Abû Bakr, ‘Umar, ‘Uthmân e ‘Alî) sino all’ultimo califfo ottomano deposto nel 1924. In realtà, nel Corano e negli hadith profetici per khilâfa si intende qualcosa di molto più vasto e profondo, qualcosa che ha a che fare sia con la Realizzazione dell’insieme ‘sintetico’ dei Nomi divini (conformemente all’esempio di Adamo, creato secondo la ‘Forma’ divina, e al quale Dio insegna «tutti i Nomi»), sia con la salvaguardia del mondo da parte dell’Uomo reso «vicario di Dio» (khalîfatu-llahi) sulla terra.
Inoltre, dal punto di vista linguistico la radice kh-l-f (da cui khilâfa, ‘califfato’, e khalîfa, ‘califfo’) ha in arabo un triplice ordine di significati: quello di ‘prendere il posto di’ (che Gilis pone in relazione alla ‘funzione suprema’, nel senso che il khalîfa - Uomo universale rappresenta il primo determinarsi dell’Essenza divina quando volle “essere conosciuta”), quello di ‘venire dopo’ (che “si applica nella dottrina akbariana del Califfato alla successione dei mondi, degli stati di esistenza e delle benedizioni, il che evoca il potere sacerdotale”), e quello di ‘opporsi’ (“corrispondente alla funzione di ‘risolvere le opposizioni’ che concerne il potere regale in senso stretto”). Ecco che in definitiva questo libro di Gilis costituisce un commentario dei principali dati tradizionali islamici in cui si parla del ‘califfato’, alla luce dell’insegnamento del sommo Maestro dell’esoterismo islamico, Ibn ‘Arabî, a tale proposito, e con costanti riferimenti all’opera di Michel Vâlsan e di René Guénon (anche in virtù del fatto che la dottrina del Califfato esoterico “permette di integrare la nozione guénoniana di ‘Re del Mondo’ alla concezione islamica dell’‘Uomo universale’ ”). Una volta chiarito nell’Introduzione che non è tra gli scopi del libro quello di promuovere, o anche solo di affermare, la necessità di una restaurazione del Califfato esteriore islamico (restaurazione che sarà operata quando Dio vorrà dal Mahdî), e dunque dopo aver dato da subito al suo lavoro un’impronta aliena da preoccupazioni ‘attivistiche’ o ‘politiche’ (benché non per questo necessariamente ignara dello stato di disordine sociale causato nel mondo islamico dall’assenza dell’autorità esteriore del ‘Califfo’), Gilis dedica la ‘Parte prima’ del volume alla “Metafisica del califfato”, e cioè in altre parole alla Realizzazione perfetta dell’Uomo universale in quando khalîfa, dato che “secondo il significato esoterico più elevato,” egli dice, “il Califfato designa il grado e la funzione dell’Uomo universale in quanto manifesta la perfezione della Forma divina” (pag. 11). In seguito vengono considerati i diversi aspetti del manifestarsi esteriore di tale Realizzazione. Più in particolare, nella ‘Parte seconda’ si parla del “Califfato assiale”: se il khalîfa - Uomo universale sintetizza in sé l’insieme dei Nomi divini, e se questi sono disposti in reciproca e complementare ‘opposizione’ (come ad es. i Nomi al-muhy, ‘Colui che dà vita’, e al-mumît, ‘Colui che dà morte’, o an-nâfi‘, ‘Colui che è utile’, e ad-dârr, ‘Colui che danneggia’), ecco che “il Califfo opera sia l’‘unione dei complementari’ (…), che la risoluzione delle opposizioni” (pag. 67), e la sua ragion d’essere sarà “quella di neutralizzare le opposizioni e i conflitti, il cui sviluppo porterebbe alla dissoluzione del mondo” (pag. 70). Egli assume dunque una funzione ‘assiale’, che la Tradizione islamica evoca “con diversi simboli dell’Asse del mondo”, come l’albero, la spada, la colonna e la bilancia. Essendo l’Asse del mondo in relazione tanto con il ‘Principio’ superiore quanto con la ‘manifestazione’, la Realizzazione propria del Califfo (a differenza ad esempio di quella del ‘Santo’) non sarebbe completa se non comprendesse un aspetto ‘discendente’: anche per questo il testo coranico precisa che Allah con Adamo stabilisce «un califfo sulla terra», e non in cielo, o in Paradiso (precisazione dalla quale l’autore prende spunto per una serie di considerazioni riguardanti l’‘eccellenza della Terra’ dal punto di vista islamico). La ‘Parte terza’ e conclusiva del lavoro di Gilis riguarda “Il Ciclo del Califfato”, sinteticamente rappresentato nelle sue modalità primordiale, mediana e finale da tre Profeti: Adamo, Davide (Dâwûd) e Muhammad. La venuta di Sayyidu-nâ Muhammad (su di lui la preghiera e la pace divine) costituisce nello stesso tempo il termine del ‘ciclo del Califfato’ e l’instaurarsi dell’aspetto spirituale supremo (caratterizzato dalla ‘servitù assoluta’) di quest’ultimo; così “l’Islam è chiamato a divenire virtualmente, e poi effettivamente, l’‘Arca della salvezza’ che raduna e riunisce tutte le forze tradizionali che ancora sussistono, e dalla quale usciranno i germi del ciclo futuro (…). Instaurato in virtù di una Rivelazione privilegiata operante la sintesi tradizionale dell’intero ciclo umano, l’Islam appare nella sua purezza originaria come il supporto provvidenzialmente predisposto in vista di una esteriorizzazione finale del Centro supremo”. Tale in definitiva lo schema delle tematiche affrontate da Gilis in questo bellissimo testo, nel quale si mostra tra l’altro come le concezioni espresse da Guénon trovino un preciso corrispondente nelle dottrine islamiche più rigorose. Si tratta di un testo che contiene numerosi altri approfondimenti di grande interesse per il lettore, sia dal punto di vista ‘religioso’ che da quello ‘iniziatico’, riguardanti ad es. la concezione della servitù, i simbolismi richiamati dal ‘triangolo dell’androgino’, il disordine e i pericoli generati da Al-Hallâj, il ruolo del Mahdî e del Cristo della seconda venuta, il simbolismo delle ‘lettere deboli’ e delle vocali ‘brevi’ dell’alfabeto arabo, le dottrine cicliche dell’Islam, l’aspetto di ‘prova’ insito nel califfato, il pericolo rappresentato dalla passione, l’idea del ‘santo Impero’ e il suo rapporto con la concezione del califfato, gli angeli e i jinn come rappresentativi degli stati superiori e di quelli ‘sottili’ dell’essere, la dottrina guénoniana della ‘Tradizione primordiale’ e i suoi riferimenti islamici, i simbolismi legati ai giorni della settimana, l’idea di un ‘deposito di fiducia’ affidato al khalîfa, il simbolismo della preghiera rituale, i quattro elementi, l’eccellenza della formula rituale ‘Non v’è potenza né forza se non in Allah, l’Elevato, l’Immenso’, il divino Volere, il concetto di wujûd come ‘Realtà attuale’, il simbolismo dello specchio ecc.
INTRODUZIONE DELL’AUTORE La dottrina dei sette Stendardi fa riferimento esclusivamente al Califfato esoterico. Preveniamo fin dall’inizio un malinteso: non abbiamo cercato né apertamente, né in modo indiretto o nascosto, di stabilire la necessità di restaurare nell’Islam il Califfato esteriore, al quale secondo Ibn Arabî appartiene la Spada. È importante insistere su questo punto, tanto più che tale restaurazione, che deve essere operata dal Mahdî, può essere considerata a buon diritto come una delle applicazioni cicliche della dottrina di cui si tratta. Il Mahdî è designato come ‘l’ultimo dei Califfi’, nel senso abituale ed istituzionale del termine; allo stesso tempo egli assumerà, come i primi quattro successori del Profeta, una funzione superiore nell’ordine esoterico. Il suo avvento sarà il risultato di una Elezione divina, senza l’intervento di alcuna volontà o, a maggior ragione, di una qualsivoglia ‘politica’ umana. Verrà quando sarà il momento, un momento noto solo ad Allâh.
La dottrina ciclica del Califfato, di cui tratta la terza parte del nostro lavoro, sviluppa, nel senso dell’‘ampiezza’ propria di un particolare stato d’esistenza, la nozione di ‘Califfato assiale’ definito e descritto nella seconda parte. Essa presenta un interesse particolare nella prospettiva aperta dall’opera di René Guénon, perché mostra come l’Islam consideri tanto la diversità delle forme tradizionali scaturite dalla Tradizione primordiale, quanto la sua propria funzione escatologica. Essa ha come punto di partenza una nota di Michel Vâlsan, la cui importanza ci sembra sottolineata dal fatto che è stata aggiunta alla versione iniziale del suo studio su Il Triangolo dell’Androgino (Études Traditionnelles, 1964). L’insegnamento relativo ai diversi aspetti del Califfato spirituale muhammadiano, al quale si ricollega la dottrina dei sette Stendardi, è inedito. Esposto negli ultimi otto ultimi capitoli, ha per unica fonte gli scritti dello Sheikh al-Akbar: tale insegnamento infatti appartiene in proprio a quest’ultimo, nella sua qualità di Sigillo della Santità muhammadiana. Benché sia di una natura prettamente esoterica, questo insegnamento non è né nascosto né segreto; al contrario esso viene sviluppato, principalmente nella prima Sezione delle Futûhât, non per mezzo di enigmi o di allusioni discrete, come è sovente il caso per altri soggetti, bensì in modo esplicito, dettagliato e perfettamente chiaro, ciò che non sarebbe stato possibile senza un’autorizzazione divina. In un dominio molto delicato e ‘sensibile’ per via delle applicazioni che comporta, ci siamo accontentati di tradurre e presentare i grandi testi akbariani, pur indicando tutti gli accostamenti che s’imponevano sia con le indicazioni offerte dai nostri due Maestri, René Guénon e Michel Vâlsan, sia con le tradizioni anteriori all’Islam.
La presente opera completa e porta a compimento i nostri studi precedenti, dei quali è in qualche misura la chiave di volta. La nostra intenzione e la nostra preoccupazione, quando abbiamo assunto la direzione effettiva degli ÉtudeTradionnelles dal dicembre 1974 al maggio 1976, e quindi nelle opere pubblicate a Parigi e ad Algeri, sono rimaste costanti: da una parte mostrare come l’opera di René Guénon possa essere compresa secondo l’insegnamento che proviene dalla Rivelazione islamica, e come viceversa, per delle ragioni che abbiamo spiegato in René Guénon et l’avènement du troisième Sceau, essa abbia chiarito taluni aspetti essenziali del Tasawwuf che erano rimasti fino ad allora velati; e dall’altra indicare il posto e la funzione vera dell’Islam nell’universo tradizionale in seno al quale è nato. Quest’ultima preoccupazione rispondeva ad una necessità più urgente, in ragione delle confusioni, dei pregiudizi, ed anche dei fantasmi ampiamente diffusi a proposito della tradizione islamica: nella misura in cui fino ad ora non era mai stata esposta una dottrina completa riguardante tale problema fondamentale, questi rimanevano, se non perfettamente scusabili, quantomeno comprensibili. La dottrina del Califfato esoterico, che permette di integrare la nozione guénoniana di ‘Re del Mondo’ alla concezione islamica dell’‘Uomo Universale’, rispondeva meglio di ogni altra a questa triplice esigenza. È alla realizzazione perfetta di questo che si riferisce la ‘metafisica del Califfato’ la quale costituisce l’oggetto della prima parte del nostro studio; le due parti successive trattano della sua manifestazione esteriore, e rappresentano le due dimensioni fondamentali secondo le quali, conformemente all’insegnamento iniziatico di tutte le tradizioni, si opera la sua realizzazione. È quindi in un modo del tutto naturale e imposto dal nostro stesso argomento che i testi di Ibn Arabî presentati qui si dispongono in queste tre sezioni. Spogliati di ogni riferimento a situazioni ‘storiche’ determinate, tanto nell’ordine principiale quanto nel dominio più contingente delle applicazioni cicliche e giuridiche, essi rivestono nondimeno, alla luce delle indicazioni appena esposte, un significato attualissimo.
INDICE GENERALE: Introduzione - Parte prima: Metafisica del Califfato - Capitolo I: Definizione dell'Uomo - Capitolo II: Forma divina e Grado totale - Capitolo III: Califfato e 'Identità suprema' - Capitolo IV: Il simbolismo dello Specchio - Capitolo V: La Forma androgina - Capitolo VI: I Principi metafisici del Califfato - Capitolo VII: Sulla Volontà divina - Capitolo VIII: Il Trono della Vita - Parte seconda: Il Califfato assiale - Capitolo IX: I Nomi divini - Capitolo X: L'Albero e la Bilancia - Capitolo XI: Le cinque Formule rituali - Capitolo XII: "Non v'è Potenza né Forza ... " - Capitolo XIII: Il Padrone dei tre mondi - Capitolo XIV: I Califfi-Poli - Capitolo XV: Califfato e Realizzazione discendente - Capitolo XVI: Califfato e Preghiera rituale - Capitolo XVII: L'umiltà della Terra - Capitolo XVIII: La Terra di Allah - Capitolo XIX: L'eccellenza dell'Ultimo - Capitolo XX: Il deposito di Fiducia - Capitolo XXI: Il Giorno e l'Ora - Capitolo XXII: Il Ciclo umano totale - Capitolo XXIII: La Montagna del Califfato - Capitolo XXIV: Il Triangolo dell'Androgino - Parte terza: Il Ciclo del Califfato - Capitolo XXV: Adamo, o il Califfato corporeo - Capitolo XXVI: L'opposizione degli Angeli e la caduta dell'Uomo - Capitolo XXVII: Dàwùd, o il Califfato intermedio - Capitolo XXVIII: Il nome di Dàwud - Capitolo XXIX: L'Impero di mezzo - Capitolo XXX: La prosternazione di Dàwùd - Capitolo XXXI: La prova del Califfato - Capitolo XXXII: Califfato e Servitù - Capitolo XXXIII: Muhammad, o il Califfato spirituale - Capitolo XXXIV: La Legge universale - Capitolo XXXV: La Bilancia e la Spada - Capitolo XXXVI: L'ultimo dei Califfi - Capitolo XXXVII: La Notte della Determinazione - Capitolo XXXVIII: I sette Stendardi - Capitolo XXXIX: La Stazione lodata - Capitolo XL: Il Califfato supremo - Indice dei soggetti - Indice dei nomi - Indice dei versetti del Corano
Nel versetto 97 della Famiglia di Imran il pellegrinaggio è descritto come la Cerca della Casa. L'interpretazione corrente dei commentari del Corano tende ad assimilare questa cerca all'obbligo di recarsi a Mecca e di fare i giri rituali attorno alla Ka'ba. Per quanto possa essere legittima tale interpretazione si scontra nondimeno con delle obiezioni molto serie. Bisogna inoltre tener conto di un altro dato tradizionale la cui autorità è considerevole dato che si tratta di una parola del Profeta su di lui la grazia unitiva e la pace divina! Il suo enunciato è del tutto categorico poiché dice semplicemente: al-hajj 'Arafa, Il pellegrinaggio è Arafa'. Michel Valsan ne deduceva che l'essenza del pellegrinaggio islamico si trova in questa fase rituale sottolineando peraltro il problema posto dalla divergenza tra la formulazione di questo hadith e il senso apparente del versetto coranico che abbiamo citato. Eppure questa stessa divergenza permette già d'intravedere l'importanza e la funzione particolare di questi due centri sacri che sono Arafa e la Casa di Allah in rapporto ai quali in realtà si situa e si ordina tutto l'insieme dei riti del pellegrinaggio
‘Abdu r-Razzâq Yahyâ (Charles-André Gilis): La dottrina iniziatica del pellegrinaggio Campegine (RE) 2007, Edizioni Orientamento/Al-Qibla, 331 pagg., € 21,50 - ISBN 9788889795071
Come spiega l’autore nella prefazione del libro, “i riti del pellegrinaggio islamico non sono stati oggetto, in Occidente, di alcuna interpretazione d’insieme”. Si tratta infatti di riti “che non possono essere compresi se non riferendosi alle dottrine metafisiche ed iniziatiche dell’Islam”, dottrine che non sono alla portata degli strumenti (profani) d’indagine dell’orientalismo, benché in verità con tali strumenti si sia perlomeno riusciti ad avere una descrizione adeguata di ciò che i pellegrini sono tenuti a fare (cosa non delle più semplici, dato che si tratta di una serie di prescrizioni che non è facile neppure elencare nel loro giusto ordine).
C’è tuttavia un altro elemento che aggiunge difficoltà alla difficoltà: essendo il pellegrinaggio islamico costituito da un insieme di riti ‘primordiali’ “compiuti verso ciò che appare come una figurazione del Centro del Mondo”, gli stessi testi scritti da autori legati all’esoterismo islamico spesso parlano dei loro significati solamente “in maniera allusiva ed indiretta”, ragion per cui anche quegli orientalisti che pure hanno capito l’importanza dello studio delle opere del tasawwuf per comprendere a fondo questi riti, non sono poi riusciti ad ottenere che “risultati frammentari e a volte anche contestabili”, a causa soprattutto “della mancanza di una qualificazione sufficiente per discernere la portata reale dell’insegnamento contenuto nelle fonti utilizzate.” Charles-André Gilis (in Islam ‘Abdu r-Razzâq Yahyâ) si propone dunque ne "La dottrina iniziatica del pellegrinaggio" di colmare queste lacune, basandosi principalmente sull’opera del ‘sommo Maestro’ dell’esoterismo islamico, Ibn ‘Arabî, a sua volta per così dire illuminata dalle formulazioni ‘guenoniane’ della Dottrina. Il risultato è un libro affascinante, ad un tempo rigoroso, radicato in un pensiero fondato sulla Via realizzativa tipica dell’Islam, e profondamente universale. Si tratta inoltre effettivamente dell’unico testo attualmente reperibile in cui si dia un’interpretazione approfondita dei riti del pellegrinaggio alla ‘santa Casa’ di Mecca, un libro dunque utilissimo sia per i Musulmani di lingua italiana che cerchino un ‘sostegno’ per la loro riflessione riguardante i riti loro imposti dalla Legge sacra, sia per tutti coloro che vogliano studiare in maniera approfondita l’Islam.
INDICE GENERALE: Prefazione - Capitolo I: Piccolo e grande pellegrinaggio - Capitolo II: Il significato proprio della 'umra - Capitolo III: La Mecca e la Ka'ba - Capitolo IV: La Ka'ba primordiale - Capitolo V: La Ka'ba di Abramo e Ismaele - Capitolo VI: La Ka'ba muhammadiana - Capitolo VII: La forma attuale della Ka'ba - Capitolo VIII: Lo stato di sacralizzazione - Capitolo IX: Sacralizzazione e intenzione - Capitolo X: I regimi giuridici del pellegrinaggio - Capitolo XI: La talbiya - Capitolo XII: I giri rituali - Capitolo XIII: La settuplice corsa - Capitolo XIV: Il posto del say nell'insieme dei riti del pellegrinaggio Capitolo XV: Arafa - Capitolo XVI: L'ifada e Muzdalifa - Capitolo XVII: Minà - Capitolo XVIII: Il ritorno alla Mecca e la fine del pellegrinaggio - Capitolo XIX: Il pellegrinaggio universale - Capitolo XX: La città illuminata - Allegato: Arafa, o il pellegrinaggio alla conoscenza - Indice dei soggetti - Indice dei nomi - Indice dei versetti del Corano - Indice generale
"Secondo Ibn 'Arabi, l'intensità nell'amore di Dio e la pratica della Religione provengono dalla forza inerente alla sincerità della fede, e alla convinzione incrollabile dei credenti espressa nel tasawwuf con il termine sidq. Il sidq tradizionalmente viene definito come la spada di Allah (sayfu-llahi) sulla terra. Questa nozione è legata a quella di 'grande guerra santa' (al-gihâdu l-akbar), la guerra interiore che l'uomo deve condurre "contro i nemici che porta in se stesso". Questa spada invisibile simboleggia la forza dell'Islam. Per il mondo moderno essa è il nemico più preoccupante, perché nessuna forza materiale, nessun condizionamento psichico può prevalere su di essa. I Musulmani sono in una situazione di guerra per il semplice fatto che essi esistono. Vengono considerati come dei fanatici perché sono Musulmani, e perché la loro fede in Allah è più forte di tutte le altre credenze, siano essere veritiere e tradizionali oppure menzognere e profane. Ciò che si rimprovera loro in realtà è la loro sincerità e la loro fedeltà all'alleanza divina, contro la quale il modernismo si è eretto ed è insorto."
‘Abdu r-Razzâq Yahyâ (Charles-André Gilis): L’integrità islamica: né integralismo né integrazione 2008 ‘Casa della Pace’ di Pavia (in distribuzione), 95 pagg., € 10,00
A cura di Franco Curti, abbiamo la traduzione italiana di un libretto pubblicato da Charles-André Gilis nel 2004 avente ad oggetto la funzione provvidenziale della presenza islamica in Occidente, e le divergenti tendenze anti-tradizionali che cercano di ostacolarla. Il testo si apre proponendo una distinzione tra ‘modernità’ e ‘contemporaneità’: mentre l’Islam non rifiuta evidentemente di avere a che fare con la realtà ‘contemporanea’, “vi è” viceversa “un’incompatibilità radicale” nei confronti del ‘mondo moderno’, essendo la nozione di modernità utilizzata univocamente in opposizione al concetto di ‘tradizione’; è in effetti quest’ultima a rappresentare “il criterio decisivo che segna il fossato che separa codesto mondo”, dominato appunto dalla mentalità ‘moderna’, “dall’universo che resta fedele alle alleanze che Dio ha pattuito con l’uomo dall’origine dei tempi.”
Pur essendo chiaro che è tutto il mondo tradizionale, e non solo l’Islam, ad essere soggetto all’attacco della mentalità propria dell’Occidente desacralizzato (e dei mezzi grossolani e sottili che tale mentalità promuove), pure è in particolare l’Islam (per quanto sempre più presente in Europa) ad essere divenuto “bersaglio privilegiato” di tale attacco, che si sviluppa con “un vigore e un’insolenza incessantemente crescenti” (pag. 12). La ferma convinzione che i Musulmani hanno a proposito dell’eccellenza della loro Religione, “è conforme alla realtà e al ruolo ciclico che Dio ha assegnato all’Islam”: l’Islam infatti non è propriamente una Religione come le altre, e questo soprattutto per due ragioni: per la sua costituzione riassuntiva dei Principi su cui si basano le Tradizioni precedenti, e per la sua Legislazione sacra, particolarmente adatta a mantenere aperte le possibilità di salvezza e di Realizzazione spirituale per gli uomini degli ‘ultimi tempi’, così da costituire in definitiva “il supporto e lo strumento” del Centro iniziatico del mondo “durante la fase finale del ciclo umano” (pag. 21). Naturalmente si tratta di un ‘punto molto delicato’, come verrà chiarito al termine del libro, in quanto l’ammissione della natura divina di tutte le forme tradizionali e delle Verità metafisiche che esse veicolano, in linea di principio deve andare di pari passo con la constatazione del ruolo appunto privilegiato dell’Islam per gli uomini di quest’epoca, mentre d’altra parte è solo attraverso la dottrina del Centro supremo che ai Musulmani vengono conferite “le chiavi di una scienza esoterica e di una conoscenza universale”, essendo essa l’unica “in grado di mostrare che la rivelazione islamica contiene l’insieme delle verità presenti nelle tradizioni anteriori” (pag. 72-75). Quello che anzitutto si sottolinea è come da questo principio derivi un’eccellenza ben vera e reale, che riguarda l’intera comunità muhammadiana in quanto ‘comunità specifica’ distinta dalle altre, sicuro baluardo collettivamente difeso della Tradizione stessa, sia nell’ambito exoterico che in quello esoterico. D’altronde l’autore non cessa di attribuire, del resto conformemente alla šarî‘a, un loro proprio valore alle Tradizioni precedenti l’Islam; lo stato attuale di queste ultime viene descritto brevemente, costatando quasi con dolore l’allontanamento dal Principio che caratterizza l'Ebraismo e il Cristianesimo, come pure l’impossibilità dell'Induismo e del Buddismo a farsi carico di una chiamata veramente universale, considerazioni queste che spingono Gilis a rifiutare la concezione secondo la quale ‘tutte le Religioni’, o ‘tutte le forme tradizionali’, sono sempre e comunque da considerare sullo stesso piano. Detto questo, l’autore passa all’analisi dei tentativi messi in atto per impedire all’Islam di adempiere al suo compito di ‘testimonianza’ tradizionale. In primis, è la mentalità moderna ad essere in guerra con l’Islam, visto come “il nemico più preoccupante, perché nessuna forza materiale e nessun condizionamento psichico può prevalere” contro la forza della sua fede (pag. 9), cosa da cui consegue che i Musulmani sono posti esplicitamente o implicitamente sotto attacco “per il semplice fatto che esistono”; e questo sostanzialmente perché l’Islam difende apertamente ciò contro cui “il modernismo si è eretto ed è insorto” (pag. 18), e cioè il ‘Diritto di Dio’, al di fuori del quale i ‘diritti dell’uomo’ perdono di ogni senso, e anzi divengono, al di là delle apparenze, una sottile macchina da guerra contro la Tradizione stessa. Si pensi ad esempio, ricorda giustamente l’autore, alla tendenza ad impedire ogni forma di educazione tradizionale, con il pretesto che si tratterebbe di abusare della debolezza del fanciullo. Evidentemente, la Religione viene vista “come un affare individuale subordinato all’uso della ragione”, il che “testimonia di un disconoscimento totale della natura divina delle forme rivelate” (pag. 29). La seconda parte del libro inizia considerando lo stato dell’Islam di fronte a questo attacco. Certo l’Islam ‘resiste’ provvidenzialmente molto di più delle altre Tradizioni; esistono però alcune specifiche tendenze che vorrebbero minarne l’‘integrità’, sola modalità che può permettergli di reggere il confronto. La prima e più importante di queste tendenze è quella ‘integrazionista’, che consiste nel fatto di alterare profondamente l’Islam per renderlo completamente compatibile con la mentalità moderna: rinuncia al Diritto sacro, tolleranza per l’attività rituale solo se non intralcia la ‘vita ordinaria’, rinuncia all’educazione tradizionale, rinuncia ad ogni espressione del ‘privilegio’ islamico, accettazione dell’‘universalismo’ moderno ecc. Tutto questo non in un’ottica di ‘adattamento’ (dato che evidentemente è spesso necessario accettare dei compromessi, “ma in uno spirito di pazienza e saggezza”, senza che vi sia “integrazione dei cuori”, pag. 60), ma appunto di una sostanziale abdicazione al proprio ruolo; e questo, diremmo noi, in modo da favorire l’inizio di un processo di ‘riforma’ dell’Islam analogo a quello conosciuto dal Cristianesimo, e che ha portato all’allontanamento dalla Tradizione di gran parte dei Cristiani, almeno in Occidente (protestanti prima e cattolici poi). Apparentemente opposta alla tendenza ‘integrazionista’ è la tendenza ‘integralista’, che vorrebbe conquistare il potere politico per poi gestire ‘in senso islamico’ gli Stati di tipo moderno. In realtà, dice giustamente Gilis, tale prospettiva è del tutto illusoria, e questo sia perché la concezione stessa di uno ‘Stato’ separato dagli altri è incompatibile con la concezione universale dell’Islam (mentre l’instaurazione del Califfato è un atto divino, che non può essere scimmiottato da un qualsivoglia gruppo politico), sia perché la conquista e la gestione del potere richiedono al giorno d’oggi l’assimilazione delle metodologie tipiche della politica occidentale, agli antipodi rispetto alle concezioni tradizionali. In realtà in entrambi i casi si ha un Islam dominato dalla mentalità moderna, sia direttamente come nel caso dell’integrazionismo, sia indirettamente nel caso dell’integralismo, data appunto l’impossibilità a governare uno Stato moderno in senso tradizionale; e questo rivela come “le posizioni apparentemente incompatibili dell’integrazione e dell’integralismo sono più vicine di quanto non appaia” (pag. 56). In opposizione a tutto ciò, è necessario il riferimento ad un Islam ‘integro’, che si presenti nella unità indissolubile dei suoi due aspetti exoterico ed esoterico, l’uno volto al bene presente e futuro dell’aspetto individuale dell’essere, e l’altro all’acquisizione degli stati sovraindividuali, e infine alla Realizzazione suprema. Ciò spiega come la prospettiva dell’integrità islamica sia in ogni caso superiore a quella dell’integralismo; quest’ultimo infatti, nonostante il fatto che dal punto di vista del semplice exoterismo possa presentare aspetti favorevoli (perlomeno nel caso venisse messo in atto con rettitudine e da persone qualificate, in stretta adesione ai dettami rituali e alle indicazioni tradizionali, e quindi distaccandosi dall’ossessione per la ‘partecipazione’ politica che ora lo pervade), pure il suo orizzonte rimane irrimediabilmente limitato “all’ambito individuale”. L’argomentazione di Gilis si sposta di conseguenza a considerare l’esoterismo islamico, ponendo però in rilevo, a titolo di premessa, l’improprietà della stessa definizione di ‘esoterismo’, perlomeno se presa nel suo significato letterale, e cioè “nel momento in cui contribuisce a stabilire un’opposizione tra la ‘scienza interiore’ e la ‘religione esteriore’, cosa che implica una concezione limitativa dell’interiorità”, mentre l’integrità di cui si sta parlando rileva da una visione unitaria della Tradizione, una visione secondo la quale la stessa Legge sacra “include, nella sua totalità e nella sua perfezione formale, l’insieme delle verità metafisiche ed iniziatiche” (pag. 66). D’altra parte, la stessa definizione di tasawwuf (da cui ‘Sufismo’) può essere fonte di non pochi fraintendimenti, nella misura in cui esso viene identificato alle turuq, o ‘confraternite’, che in realtà costituiscono solamente “una delle modalità storiche dell’esoterismo islamico” (pag. 67). Un punto di notevole importanza è quello riguardante le critiche ingiustificate di cui il tasawwuf viene fatto oggetto, specialmente dagli esponenti dell’integralismo, quando è accusato di favorire un culto dei santi in contrapposizione alla dottrina base dell’Islam, la dottrina cioè dell’Unità divina (tawhîd). In realtà, quando si tratta di autentici Maestri spirituali “i santi sono oggetto di una venerazione legittima”, in quanto rappresentano la presenza vivente del Profeta Muhammad, Inviato di Dio, il quale “viene associato all’espressione suprema del tawhîd” (“perché alla prima testimonianza di fede, lâ ilâha illâ Allah, ‘Non v’è divinità all’infuori di Dio’, fa seguito la formula della seconda attestazione, Muhammad rasûlu-llah, ‘Muhammad è Inviato di Dio’)”, e costituisce coranicamente l’esempio perfetto che deve essere seguito, e quindi l’Uomo perfetto (al-insânu l-kâmil). Ne consegue che “condannare questo aspetto del tasawwuf significa opporsi alla Saggezza divina su di una questione essenziale” (pagg. 68-70). Infine Gilis (alla luce della dottrina dei tre ‘sigilli’), ricorda il ruolo fondamentale “del rappresentante per eccellenza dell’integrità islamica”, e cioè Ibn ‘Arabî, e di Guénon, colui la cui opera “costituisce un prolungamento di quella di Ibn ‘Arabî, illustrando, per mezzo di studi sull’esoterismo delle rivelazioni anteriori, l’universalità della scienza islamica” (pag. 85). E questo senza peraltro dimenticare l’importanza di Michel Vâlsan, i cui lavori furono orientati soprattutto a far comprendere il collegamento che esiste tra Guénon e l’‘integrità islamica’.
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